Francesco Datini ritorna a Prato

Nasce il 'sistema' che lo ha reso famoso

Dopo trentatré giorni di viaggio, tra la fine del 1382 e l’inizio del 1383 Francesco Datini fece ritorno a Prato, passando per il Monginevro, Moncalieri, Asti, Milano, Cremona, Parma e Bologna, e si insediò nella sua città natale preceduto da una fama lusinghiera ed ottimamente accolto dai propri conterranei. Nel fiorente centro toscano egli stabilì definitivamente la propria residenza, acquistò numerosi beni immobili e dette l’avvio ad una intensa attività di costruzioni in campo edilizio, ma soprattutto impiantò una serie di nuove società che andarono a costituire il celeberrimo “sistema” delle aziende datiniane. Le tre principali compagnie aperte dopo il rientro furono collocate a Pisa, Firenze ed appunto Prato.

La direzione generale dell’intero sistema commerciale messo in piedi dal Datini si trovava nella città del giglio, da cui successivamente presero l’abbrivio le nuove compagnie di Genova, nel 1392, e di Barcellona, Valenza e Maiorca, nel 1396, e dove nel 1398 insieme al pratese Bartolomeo di Francesco Cambioni il mercante fondò anche la Compagnia del banco, forse il primo esempio di una azienda bancaria autonoma, che tuttavia venne chiusa nel 1401 anche a causa della prematura morte del giovane socio. Francesco tuttavia non si ripiegò su se stesso ed allargò il raggio delle proprie attività, affiancando alle pure operazioni di carattere mercantile la gestione di imprese di muratura e di restauro edilizio, la cura dei beni agricoli e l’industria laniera. In tale periodo gli furono di sostegno prevalentemente Stoldo di Lorenzo e Luca del Sera.

Nel 1400 le attività promosse dal Datini raggiunsero la loro massima espansione, per il numero e la varietà delle aziende messe in piedi dal mercante pratese, che aveva non solo accumulato un’ingente ricchezza personale ma anche provveduto a dare lavoro ad una elevata quantità di persone, tra soci e dipendenti di varia origine e natura.

Un uomo poco incline all’impegno in politica
Al di fuori degli impegni in campo commerciale, egli si dimostrò totalmente refrattario a qualsivoglia tipo di riconoscimento in campo sia sociale che civile e del tutto disinteressato ai pubblici uffici; si lagnò spesso della pressione fiscale che subiva nel suo luogo di nascita, e manifestò sovente la sua insofferenza per l’attività politica, cercando di sottrarsi invano agli impegni istituzionali che gli venivano affidati; quando nel 1386 fu eletto gonfaloniere della città, tentò di evitare gli obblighi connessi con la prestigiosa carica nascondendosi per sei giorni di fila nel capoluogo toscano.

In definitiva gli interessi di Francesco Datini rimasero sempre quelli di un mercante e di un possidente. Dedicò tutte le sue energie alla professione e le sue cure al patrimonio, concentrandosi particolarmente sull’accumulo di denaro e beni immobili, anche se non disdegnò completamente la decorazione e l’abbellimento delle proprie abitazioni e l’acquisto di oggetti d’arte, libri e manoscritti, grazie ai quali ampliò la propria preparazione culturale e contribuì a diffondere in maniera sensibile la cultura umanistica.

Non fu insensibile al richiamo della tavola ed apprezzò il buon vino, e grazie agli uffici del suo amico notaio ser Lapo Mazzei si approvvigionò spesso di quello prodotto a Carmignano. Nel 1396 ne acquistò quindici some “al prezzo di un fiorino suggello la soma”, ovverosia pagandolo all’incirca quattro volte tanto rispetto alle cifre richieste per alcuni dei più pregiati vini dell’epoca: considerata l’abilità del Datini negli affari, una siffatta spesa appare giustificata solamente dalla elevatissima qualità del prodotto.

Negli ultimi anni di vita Francesco ridusse in maniera notevole le attività mercantili e rivelò una spiccata propensione a riflettere su temi etici e religiosi, soprattutto attraverso i consigli del già citato ser Lapo Mazzei ed alle sollecitazioni del beato Giovanni Dominici e di alcuni altri uomini di chiesa; Mazzei in particolar modo fu determinante nell’indurre l’amico a maturare la decisione di lasciare i suoi beni alle fasce più bisognose della popolazione di Prato, attraverso l’istituzione del famosissimo Ceppo dei poveri.

Lo spedale degli Innocenti
Dopo aver redatto testamento per mano di ser Lapo Mazzei in data 31 luglio 1410, Francesco Datini si spense il successivo 16 agosto. Ricevette solenni onoranze funebri e venne sepolto nella chiesa di San Francesco, sotto una lastra tombale ancora in loco, opera dello scultore fiorentino Niccolò di Pietro Lamberti. Destinò agli indigenti della sua città un capitale di quasi centomila fiorini d’oro ed oltre quattrocento immobili. Una piccola parte della sua eredità venne impiegata anche per la creazione e il sostentamento di un ente benefico che si occupasse degli orfani di Firenze, un tipo di istituzione che in Europa ancora non esisteva e che fin dalla fondazione prese il nome di Spedale degli Innocenti.

L’archivio murato in un pozzo di scale
Il monumentale archivio del mercante – costituito da lettere, documenti, libri contabili e vari oggetti collegati alle attività aziendali, tra cui uno dei più antichi esempi di campionario tessile – venne murato in un pozzo di scale in disuso posto all’interno della sua abitazione e rinvenuto soltanto nel XIX secolo. Si trattò di una scoperta sensazionale per l’ampiezza, la ricchezza e lo stato di conservazione della documentazione ritrovata. Con i suoi centocinquantamila testi, l’Archivio Datini rappresenta il più importante fondo documentario mercantile dell’età medievale, fonte di informazione fondamentale e preziosissima sulla vita economica e sociale del Trecento; situato nella sede di Palazzo Datini, esso costituisce uno dei nuclei più rilevanti dell’Archivio di Stato di Prato ivi costituito.

A causa del notevole numero di lettere di cambio presente nel suo archivio, Francesco Datini è generalmente ritenuto l’inventore della cambiale o dell’assegno, e molti pratesi ancora oggi passando sotto al monumento erettogli nel 1896 da Antonio Garella in piazza del Comune interpretano in tal senso le carte impugnate nella mano sinistra della statua, mentre altri preferiscono interpretarle come il testamento grazie al quale il facoltoso mercante donò ai poveri della sua città il patrimonio accumulato in tanti anni di lavoro. (Barbara Prosperi)

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