L’abbazia che si è riscoperta dello Stato

Tutta colpa di un pasticcio burocratico

Tutti pensavano che appartenesse a privati. E invece no: l’abbazia di San Giusto è da più di un secolo dello Stato. Solo che lo Stato non se ne è più ricordato e l’edificio, peraltro, pare che non sia mai stato preso ufficialmente in carico. Un pasticcio nel pasticcio, burocratico.

Il frainteso si consuma poco meno di un secolo fa. Per buona parte del Novecento e fino al 2011 si è effettivamente ritenuto infatti che la chiesa in mezzo ai boschi del Montalbano fosse della famiglia Cinotti prima, che alla fine dell’Ottocento se ne era completamente disinteressata arrivando a relegare la chiesa alla condizione di stalla per bovini, e dei Contini Bonacossi poi, che negli anni Venti del secolo scorso avevano rilevato la tenuta sulla quale sorge la costruzione prendendosene cura per circa un cinquantennio. Tuttavia nell’atto di acquisto, siglato nel 1925, nessuno dei numerosi fogli di protocollo conservati al catasto fiorentino riporta la particella relativa alla porzione di terreno su cui insiste l’edificio ecclesiastico, la cui gestione nei documenti dell’epoca risultava delegata non a caso al Comune di Carmignano. In tempi recenti si era anche ipotizzato che l’alluvione del 1966 avesse disperso alcune pagine della registrazione, ma la verità era un’altra. La situazione finalmente si è chiarita quando al termine di una ricerca iniziata nel 2009 l’allora assessore Fabrizio Buricchi, coadiuvato da un piccolo gruppo di cittadini tra i quali si ricordano Mauro Bindi e Lorenzo Petracchi, ha rinvenuto alcune carte dalle quali emerge con chiarezza che San Giusto è proprietà dello Stato e l’aveva affidata all’amministrazione municipale carmignanese.

Ricostruendo l’esatta cronologia dei fatti è stato possibile appurare che nel 1893 Tito Cinotti fu obbligato da un decreto regio a cedere l’abbazia allo Stato italiano – forse anche per debiti accumulati -, il quale a sua volta aveva incaricato della sua manutenzione il Comune di Carmignano. Quando Alessandro Contini Bonacossi acquistò il vasto appezzamento di terreno sul quale si trova la chiesa, in realtà entrò in possesso soltanto della casa colonica ad essa adiacente e del bosco che si spinge fino a Pietramarina, perché pur non essendone consapevole la particella relativa alla costruzione romanica non era compresa nell’atto di compravendita. Ma tutti pensavano appunto il contrario, tant’è che la famiglia Contini Bonacossi ha anche pagato, fino agli anni Sessanta, una serie di interventi di restauro sull’edificio.

Adesso tutti i dubbi sulla proprietà sono stati fugati. Ma la Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Firenze, Pistoia e Prato tarda a prendersi a cuore la sorte di quello che nel 1979 è stato dichiarato monumento di interesse nazionale. Ci sarebbero ulteriori problemi burocratici. E così sono nati gli Amici di San Giusto, che si battono con caparbietà per salvare dal disfacimento e l’oblio l’abbazia. Lo hanno fatto di recente candidando nel 2016 la chiesa tra i luoghi del FAI e raccogliendo quasi diecimila firme e segnalazioni. (Barbara Prosperi)

Posted on

Questo articolo è stato pubblicato in cultura, storia e con I tag . permalink.
Translate »