Leonardo bambino, tra Vinci e Bacchereto

A contatto con la natura del Montalbano

Secondo la tradizione Leonardo nacque ad Anchiano, nei pressi di Vinci, dove ancora oggi si conserva quella che viene indicata come la casa natale dell’artista, il 15 aprile del 1452 dal notaio ser Piero di Antonio da Vinci e da una non meglio precisata Caterina. Il padre era all’epoca un giovane di ventisei anni all’inizio di una promettente carriera notarile, mentre sulla madre non disponiamo di notizie sicure che possano aiutarci a fare luce sulla sua identità. Fino a non molto tempo fa si è supposto che fosse una ragazza del popolo con cui ser Piero, già impegnato in un fidanzamento ufficiale, aveva avuto una relazione fugace, ma negli ultimi anni è stata avanzata la proposta che si trattasse di una donna di provenienza mediorientale, forse una schiava arrivata in Toscana da un paese di cultura araba, come accadeva di frequente a quel tempo. L’ipotesi sembra in effetti suffragata dai risultati di una serie di analisi che in anni recenti sono state eseguite sulle impronte digitali lasciate dal pittore sulle sue carte autografe, che hanno evidenziato caratteristiche peculiari della popolazione araba, presenti all’incirca nei due terzi delle etnie mediorientali. Anche il nome della giovane, designata nei documenti come “Chaterina” o “Chatarina”, risulta perfettamente compatibile con quelli che venivano solitamente scelti per ribattezzare le schiave di origine ebraica, turca o circassa che giungevano in Occidente. Negli ultimi tempi tuttavia ha ripreso nuovamente forza la proposta relativa ad una ragazza del posto, orfana e di umili origini, identificata nella figura di Caterina di Bartolomeo Lippi, la cui validità tuttavia secondo alcuni studiosi è contraddetta dai documenti.

Qualunque fosse la natura della ragazza, è certo che la sua posizione sociale non era adatta a quella di ser Piero, primogenito di una famiglia benestante di proprietari terrieri e notai, che già si divideva tra Vinci e Firenze per seguire gli impegni di lavoro. Poco dopo la nascita del figlio infatti Piero si sposò con la giovanissima Albiera di Giovanni Amadori, non ancora sedicenne, la cui famiglia apparteneva all’alta borghesia fiorentina, ma non rinnegò il bambino, che per quanto nato fuori dal matrimonio fu anzi ben accolto e festeggiato con tutti gli onori del caso. “Nachue un mio nipote, figliuolo di ser Piero mio figliuolo – annotò in calce a un libro contabile il nonno paterno, Antonio, tramandando così ai posteri i particolari della nascita del genio di Vinci –, a dì 15 d’aprile, in sabato a ore 3 di notte – che allora erano più o meno le 22 e 30, considerato che le ore si contavano a partire dall’Ave Maria della sera, ovvero dal momento del tramonto –. Ebbe nome Lionardo. Batezzollo prete Piero di Bartolomeo da Vinci, Papino di Nanni Banti, Meo di Tonino, Piero di Malvolto, Nanni di Venzo, Arrigo di Giovanni tedesco, monna Lisa di Domenico di Brettone, monna Antonia di Giuliano, monna Niccolosa del Barna, monna Maria, figliola di Nanni di Venzo, monna Pippa di Previcone”. La cerimonia, a cui prese parte un numero indubbiamente non comune di padrini e madrine – dieci in tutto –, ad indicare che l’arrivo del piccino fu gradito e celebrato, ebbe luogo in Vinci nella chiesa di Santa Croce la Domenica in Albis del 1452. Prima che lo studioso tedesco Emil Möller rinvenisse casualmente questo documento presso l’Archivio di Stato di Firenze negli anni Trenta del Novecento, la più antica testimonianza che si conosceva sull’artista era una dichiarazione catastale risalente al 1457 in cui il nonno Antonio chiedeva al fisco una riduzione d’imposta elencando come familiari a proprio carico la moglie, Lucia, il figlio minore, Francesco, e il nipote, Leonardo, nato dal primogenito Piero, di cui scriveva: “Lionardo, figliuolo di detto ser Piero, non legiptimo, nato di lui et della Chaterina, al presente donna – cioè moglie – d’Acchattabriga di Piero del Vaccha da Vinci, d’anni 5”.

Nei primi tempi il bambino dovette rimanere con la madre, che quasi sicuramente si occupò dell’allattamento del figlio accompagnandolo alle soglie dello svezzamento; valutando che all’epoca questo periodo durava mediamente fino ai diciotto mesi, appare del tutto plausibile che Leonardo venisse accolto nella famiglia paterna – di cui come abbiamo appena visto risultava facente parte nel 1457 – intorno ai due anni d’età, in concomitanza con il matrimonio di Caterina, che nel 1454 convolò a nozze con il già citato Antonio di Piero Buti, detto l’“Accattabriga”, un fornaciaio che possedeva una fattoria e dei terreni in località Campo Zeppi, a breve distanza dall’abitato di Vinci. A dispetto di un soprannome che alludeva ad un carattere probabilmente turbolento, Antonio poteva essere considerato senza dubbio un buon partito, e quello fra i due fu certamente un matrimonio combinato dalla famiglia di ser Piero, che sistemando la ragazza in casa Buti intese così riparare al comportamento sconsiderato del giovane notaio. Antonio e Caterina in un breve volgere di anni misero al mondo cinque figli, quattro femmine e un maschio: Piera (1454), Maria (1457), Lisabetta (1459), Francesco (1461), e infine Sandra (1463); ser Piero invece non ebbe discendenti né dalla prima moglie, Albiera, deceduta “sopraparto” nel 1464, dopo aver precedentemente dato alla luce una bambina di nome Antonia nata e morta nel 1463, né dalla seconda, Francesca di Giuliano Lanfredini, sposata nel 1465 e scomparsa nel 1474: sembrava che dopo quel primo figlio naturale gli fosse stata negata la possibilità di diventare di nuovo padre, e fu soltanto dalle terze e dalle quarte nozze dell’uomo che arrivarono i tanto sospirati eredi legittimi, quattordici o forse più in base ai vari alberi genealogici che sono stati ricostruiti nel corso del tempo, non sempre concordi tra di loro: dall’unione con Margherita di Francesco Giulli, sposata nel 1475, nacquero Antonio (1476), Maddalena (nata e morta nel 1477), Giuliano (1478), Lorenzo (1480), Violante (1481), Domenico (1483) e Bartolomeo (nato e morto nel 1485), mentre da quella con Lucrezia di Guglielmo Cortigiani, sposata nel 1486, Guglielmo (nato e morto in quello stesso anno), Margherita (1487), Benedetto (1489), Pandolfo (1490), Guglielmo (1492), Bartolomeo (1493) e Giovanni (1499). A questi vanno forse aggiunti altri figli illegittimi avuti dal notaio fuori dal matrimonio.

Durante l’infanzia Leonardo venne accudito principalmente dalla nonna paterna, Lucia di ser Piero di Zoso, originaria di Bacchereto, figlia di un notaio che tra gli altri beni immobili possedeva una fornace nel piccolo borgo situato sulle colline del Montalbano, rinomato allora per la produzione di terracotte e ceramiche, un edificio situato in località Toia nei pressi dell’abitazione che una lapide novecentesca segnala come la casa di monna Lucia. Alla luce di questo legame non sembra azzardato pensare che nel corso della sua fanciullezza il futuro pittore abbia frequentato in compagnia della nonna la frazione carmignanese, che non a caso si trova menzionata in ben tre dei codici e delle raccolte che sono giunti fino ai nostri giorni (Madrid II, ff. 22v, 23r, 149r; Royal Library of Windsor, 12685; Codice Atlantico, f. 878v), e dove presumibilmente ebbe modo di iniziare a modellare la terracotta, supposizione che trova puntuale conferma nelle “Vite” di Giorgio Vasari, in cui si legge che prima ancora di fare il suo ingresso nella bottega di Andrea del Verrocchio “non lasciò mai il disegnare et il fare di rilievo”. Essendo però i nonni di Leonardo piuttosto anziani (Antonio era nato nel 1372 e Lucia nel 1393), in un’epoca in cui peraltro si arrivava raramente e con difficoltà ad età elevate, è necessario pensare ad un altro familiare che si occupasse del bambino, seguendolo nelle attività giornaliere più movimentate. Fu con ogni probabilità lo zio Francesco, fratello minore di ser Piero, ancora scapolo, che si prese cura del piccolo negli anni che quest’ultimo trascorse a Vinci e nei suoi dintorni. Nella già citata dichiarazione catastale del 1457 a proposito di Francesco, che non aveva intrapreso la stessa strada del fratello, si trova scritto che “sta in villa e non fa nulla”, a significare ragionevolmente che non esercitava una professione specifica ma sorvegliava l’andamento dei lavori agricoli nei terreni di proprietà della famiglia. E’ dunque logico ipotizzare che passasse molto tempo all’aria aperta, in piena campagna, in mezzo alle colline ricche di flora e fauna che caratterizzano il Montalbano, e che il nipote lo accompagnasse spesso nell’esercizio delle sue mansioni, vivendo a stretto contatto con la natura e venendo forse iniziato dallo zio agli innumerevoli segreti del creato.

Anche se probabilmente angustiata dalla lontananza del padre, impegnato a Firenze negli affari di lavoro, e dall’assenza della madre, che aveva una famiglia numerosa a cui badare, in questa prima parte della sua vita Leonardo dovette assaporare un’infanzia libera e ricca di scoperte, fatta di esercizi a tutt’aria che quasi certamente gli conferirono il suo proverbiale vigore fisico, e fu sicuramente in questo periodo, e presumibilmente sotto la guida di Francesco, a cui rimase sempre legatissimo, che per il futuro genio di Vinci ebbero inizio l’amore per la natura e l’interesse nei confronti delle sue molteplici manifestazioni, indagate con la curiosità di una mente perspicace e assetata di conoscenza. Più che quello dell’artista il suo era lo sguardo razionale dello scienziato alla ricerca delle leggi universali che regolano il creato, perché solo dall’osservazione, dallo studio e dall’esperimento secondo il pensiero di Leonardo è possibile giungere alla conquista della verità, come risulta evidente dagli assunti presenti nei suoi taccuini, dove tra le tante annotazioni si legge: “Le cose mentali che non son passate per il senso son vane e nulla verità partoriscano se non dannosa”; “La sapienza è figliola della sperienza”; “Nissuna umana investigazione si pò domandare vera scienzia s’essa non passa per le matematiche dimostrazioni”; “O studianti, studiate le matematiche, e non edificate sanza fondamenti”; “Quelli che s’innamoran di pratica senza scienza son come ‘l nocchier ch’entra in navilio senza timone o bussola, che mai ha certezza dove si vada”; “Chi biasima la somma certezza delle matematiche si pasce di confusione”; “Meglio è la piccola certezza che la gran bugia”.  (Barbara Prosperi)

 

 

 

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