Bacco in Toscana …

di Lorenzo Petracchi
Gli argomenti dei ditirambi di Francesco Redi (“Bacco in Toscana” e “Arianna inferma”) collegano e allacciano la poesia dotta dell’accademico della Crusca alla poesia popolare toscana che dal ‘600 si riversa e scorre fino al ‘900. Una cometa che stravolge e avvolge l’arte poetica erudita con la vigoria e la forza del più recente folclore del comporre versi. Sembra quasi che non siano trascorsi tre secoli .

Negli anni Setranta del Novecento che svilavano via verso gli Ottanta il nostro poeta Alfiero Londi di Santa Cristina e il giovane verseggiatore in ottava rima, Roberto Benigni di Vergaio, si affrontarono sulle contrapposte visioni dell’acqua e del vino. Benigni non era ancora il Benigni che conosciamo al momento. Era solo un vivace ragazzotto brillante, estroverso che si contrapponeva al ponderato Londi che dell’acqua tesseva le lodi, mentre il suo antagonista esaltava il vino. La contesa si disputò sulla terrazza dell’ex Casa del Fascio a Carmignano una sera d’estate, dove la platea degli appassionati applaudiva alla conclusione di ogni ottava quando i due protagonisti si alternavano nella recitazione. Nei primi quattro versi dell’ottava si introduceva l’argomento che aveva il suo punto focale negli ultimi due versi della strofa che, pungenti e aspri, spronavano l’antagonista ad una battuta altrettanto, se non di più, pungente ed aspra.

Francesco Redi nei due ditirambi Bacco in Toscana e Arianna inferma e’ solo l’antagonista di se stesso. Gli antichi dei non si dibattono in un serrato dibattito come Londi e Benigni. La disputa risalta dal confronto delle due opere dove Bacco che parla ad Arianna glorifica il vino e dove Arianna che si rivolge a Bacco tesse lodi dell’acqua.

Lo scienziato Redi nel Bacco in Toscana si rivela un arguto espositore, un ironico e pungente intenditore e quando i vini non sono eccellenze non tralascia il biasimo.
Accusato, / Tormentato, / Condannato / Sia colui, che in pian di Lecore / Primo osò piantar le viti. / Infiniti / Capri e Pecore / Si divorino quei tralci / Pioggia rea di ghiaccio asprissimo.
I suoi versi, salvo rare eccezioni, sono una esaltazione dei buoni vini e il Carmignano ne esce trionfatore nel confronto con il Chianti.

Del buon Chianti il Vin decrepito, / Maestoso,/Imperioso, /Mi passeggia dentro il core,/E ne scaccia senza strepito/ogni affanno/e ogni dolore
Ma se Giara io prendo in mano / Di brillante Carmignano, / Così grato in sen mi piove, / Ch’Am-brosia e Nettar non invidio a Giove. / Or questo, che stillò dall’uve brune / Di vigne sassossisime Toscane, / Bevi Arianna, e tien da lui lontane / Le chiomazzurre Najadi importune/ Che saria / Gran follia, / E bruttissimo peccato, / bevere il Carmignan, quando è innacquato.

Il luminare poeta con le parole di Arianna lancia un anatema contro certi vini che con le parole di Bacco aveva esaltato. Non ebbe la fermezza di includere, fra quei disprezzati aromi, il Carmignano.

Il vin puro, ed il vin pretto / Sia bandito, ed interdetto: / Nomi orribili d’inferno / Sieno il Chianti, ed il Falerno, / Maledetti sien gli zipoli / Di quel vin di Pian di Ripoli;/ Si fracassi il caratello /Del Trebbian, e del Moscatello / Si rimiri ognor con occhio bieco / Di Posillipo il Greco / E si bestemmi quella rea Vernaccia /Che in mille mali i nostri corpi allaccia.
Arianna dunque non si scaglia contro Il Carmignano, ma neppure contro quel che sì puretto si vendemmia in Artimino. L’omesso ostracismo e la messa al bando per le loro Maesta, de Il Carmignano e l’Artimino, fu solo una dimenticanza o un doveroso omaggio?

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