L’ultima Medici torna in Toscana

"I tesori di Firenze rimangano qui"

Dopo essere rimasta vedova, nel 1717 Anna Maria Luisa abbandonò Düsseldorf e tornò a Firenze, dove trovò una situazione estremamente difficile e complicata. Poiché né lʼElettrice Palatina né i suoi due fratelli, Ferdinando (morto nel 1713) e Gian Gastone, né il loro zio, Francesco Maria (morto nel 1710), avevano avuto eredi dai rispettivi matrimoni, Cosimo III cercò di procrastinare lʼestinzione della dinastia medicea modificando la legge di successione, affinché la figlia potesse accedere al trono nel caso in cui fosse deceduto ogni altro esponente maschile della casata, ma tale progetto fu risolutamente rigettato dalle altre potenze europee, che così facendo intesero negare qualunque tipo di riconoscimento dinastico ad Anna Maria Luisa. Presagendo anzi la fine imminente della famiglia Medici alcuni regnanti avanzarono in maniera perentoria delle pressanti pretese sulla corona granducale. Tra i pretendenti più accaniti spiccavano lʼAustria e la Spagna. Il 25 ottobre 1723, sei giorni prima di spirare, Cosimo emanò un proclama in cui rivendicò lʼindipendenza della Toscana dalle potenze monarchiche di tutta Europa, e dispose che alla morte di Gian Gastone sarebbe subentrata alla guida del granducato la figlia, la quale avrebbe provveduto a scegliere il successore più adatto a governare sui possedimenti medicei, tuttavia tali disposizioni non furono attuate.

Dopo la scomparsa del padre si rese evidente in maniera drammatica che lʼarmonioso rapporto che un tempo era esistito tra il nuovo granduca e lʼElettrice Palatina si era irrimediabilmente dissolto: dato che questʼultima aveva svolto un ruolo determinante nel favorire la disgraziata unione tra il fratello e la cognata Anna Maria Francesca di Sassonia, Gian Gastone considerava la sorella come la causa della propria infelicità, mentre Anna Maria Luisa dal suo canto non tollerava la condotta di vita dissoluta e le idee spregiudicate del fratello, che aveva sbrigativamente abolito molti dei pur restrittivi decreti paterni. Ad esasperare una situazione già tanto carica di tensione contribuiva inoltre Violante di Baviera, la vedova di Ferdinando, che nel frattempo si era fortemente legata a Gian Gastone e lo spalleggiava senza esitazione contro la sorella. Non intendendo continuare a sottoporsi alle umiliazioni che avevano iniziato ad infliggerle il fratello e la cognata, Anna Maria Luisa rinunciò all’appartamento che le era riservato a Palazzo Pitti e si trasferì fuori città presso Villa La Quiete, che fece ristrutturare magnificamente con lʼintervento degli architetti Giovan Battista Foggini e Paolo Giovanozzi e con la collaborazione del giardiniere di Boboli, Sebastiano Rapi. Da lì si spostava di rado, principalmente per prendere parte a manifestazioni ufficiali in cui era ritenuta opportuna la sua presenza in seno alla corte medicea.

Con il passare degli anni Gian Gastone era scivolato in un abisso di abiezione fisica e morale: attorniato da una fitta cerchia di personaggi corrotti e depravati che lo assecondavano nelle sue perversioni, aveva finito per circondarsi di una interminabile schiera di ragazzi di strada – i cosiddetti “ruspanti”, denominati in questa maniera perché per ottenere i loro favori il granduca elargiva loro un ruspo la settimana – che avevano trasformato la residenza di Pitti in un indecoroso postribolo. Assorbito dai suoi squallidi passatempi, era tornato a chiudersi nelle sue stanze come quando era un ragazzo timido ed inesperto del mondo, e si mostrava in pubblico così raramente che nel 1729 iniziò a spargersi la voce che fosse addirittura deceduto. Nonostante lʼostilità che intercorreva tra le due cognate, Anna Maria Luisa e Violante si accordarono per convincere Gian Gastone a mostrarsi ai fiorentini per la festa patronale di San Giovanni, ma a dispetto delle loro sollecitazioni dopo quell’occasione lʼuomo tornò a rifugiarsi nel suo appartamento per non uscirne più. La situazione peggiorò ulteriormente dopo la scomparsa di Violante, avvenuta nel 1731. Il granduca non solo non abbandonò mai più lʼala del palazzo nella quale abitava, ma si ridusse addirittura a non scendere più dal letto, dove oltre a riposare mangiava, beveva fino a ubriacarsi per poi vomitare a causa del troppo alcol ingerito, faceva i suoi bisogni corporali e riceveva i suoi amanti. Pare che da ultimo si ritrovasse a dimorare in un giaciglio talmente sporco e maleodorante che quando ambasciatori, ministri ed altri personaggi a vario titolo dovevano recarsi al suo cospetto erano costretti ad allontanarsene nauseati nel più breve tempo possibile.

Alla fine del giugno 1737  il disfacimento al contempo fisico e morale di Gian Gastone sembrò arrivato al culmine: le sue condizioni di salute si erano così aggravate che la sorella, informata del precipitare degli eventi, rientrò in maniera risoluta nel palazzo dal quale si era tenuta distante per tanto tempo, cacciò gli uomini di malaffare ed i “ruspanti” che così a lungo avevano soggiogato il fratello, e si pose al suo capezzale per assisterlo fino ai momenti terminali della sua vita. Grazie alle cure premurose dellʼElettrice Palatina il granduca rientrò gradualmente in sé, si ravvide della condotta sciagurata che aveva tenuto in seguito al fallimento del matrimonio con Anna Maria Francesca e si preparò a morire da buon cristiano. Nel ricevere i sacramenti religiosi pronunciò amaramente le seguenti parole: “Sic transit gloria mundi!”, riferendosi con ogni probabilità sia alla sua imminente dipartita che alla conseguente dissoluzione della sua stirpe. Lʼindomani, era il 9 luglio, si spegneva. Secondo quanto stabilito lʼanno precedente, la Toscana sarebbe passata nelle mani dei Lorena. Sebbene fosse stata privata della possibilità di ereditare il titolo granducale, ad Anna Maria Luisa fu concessa la prerogativa di continuare a risiedere a Palazzo Pitti, inoltre le vennero assegnati integralmente i possedimenti allodiali, le vesti di Stato, le gallerie dʼarte, le proprietà del ducato dʼUrbino, che provenivano della nonna Vittoria della Rovere, ed il denaro liquido di casa Medici, che ammontava ad oltre due milioni di fiorini.

Il principe di Craon, delegato del nuovo sovrano Francesco di Lorena, fu autorizzato da questʼultimo ad offrire alla principessa medicea la reggenza del granducato, ma la donna rifiutò, preferendo dedicare il proprio tempo e le proprie energie ad opere di beneficenza, al completamento e alla ristrutturazione della fabbrica di San Lorenzo ed alla sistemazione delle collezioni dʼarte della casata. Proprio la sua passione per lʼarte la indusse a compiere il gesto per il quale è divenuta celebre e che nei secoli a venire determinò la fortuna della Toscana in generale e di Firenze in particolare. Il 31 ottobre 1737 infatti nella città di Vienna Anna Maria Luisa stipulò con la nuova dinastia di regnanti il famoso “Patto di Famiglia”, un documento in base al quale tra le altre cose vincolò i Lorena a non spostare dal granducato opere dʼarte, gioielli, oggetti rari e preziosi, mobili e libri, affinché lo sterminato patrimonio culturale accumulato dai Medici non venisse disperso e, rimanendo in dotazione a Firenze e alla Toscana, potesse conservare il prestigio dello Stato, essere utile agli studiosi e richiamare persone provenienti da altre città o nazioni. “La Serenissima Elettrice – si legge nell’articolo III del contratto – cede, dà e trasferisce al presente a Sua Altezza Reale per lui e suoi successori Gran Duchi tutti i mobili, effetti, e rarità della successione del Serenissimo Gran Duca suo fratello, come gallerie, quadri, statue, biblioteche, gioie ed altre cose pretiose, siccome le sante reliquie, i reliquiari e loro ornamenti, della Cappella del Palazzo Reale che Sua Altezza Reale sʼimpegna di conservare, a condizione espressa che di quello è per ornamento dello Stato, per utilità del pubblico, e per attirare la curiosità dei Forestieri non ne sarà nulla trasportato e levato fuori della Capitale e dello Stato del Gran Ducato. Le guardarobe, mobili, argenterie, ed effetti che sono per lʼuso resteranno a libera disposizione di Sua Altezza”.

Grazie a questo accordo Anna Maria Luisa legò per sempre alla Toscana i suoi preziosi beni culturali, e fece in modo che Firenze non dovesse subire la sorte toccata in precedenza ad altre città tra le quali si possono annoverare ad esempio Urbino, Ferrara, Parma e Mantova, che all’estinzione o all’allontanamento delle dinastie che per tanto tempo le avevano governate erano state spogliate dei loro tesori, che di norma venivano ereditati dai nuovi regnanti i quali li disperdevano dividendoli tra le varie residenze o utilizzandoli come fruttuosa merce di scambio. Ad onor del vero qualche trasgressione agli impegni sottoscritti si verificò, perché pare che parte degli argenti, dei gioielli e soprattutto il raffinato guardaroba fossero smembrati e presumibilmente messi in vendita, ma il fatto che venissero sacrificati velluti e broccati, pizzi e damaschi, collane ed anelli può essere sicuramente ritenuto un peccato veniale se si considera che vennero preservate le collezioni che ancora oggi costituiscono i nuclei principali di alcuni dei più importanti musei del nostro Paese, visitati quotidianamente da migliaia di turisti italiani e stranieri, dalla Galleria degli Uffizi al Museo del Bargello, dalla Galleria Palatina al Museo Archeologico, passando per il Museo di Storia della Scienza ed altri ancora. In definitiva il “Patto di Famiglia” fu da parte dellʼElettrice Palatina lʼestremo atto di amore nei confronti della propria casata e della propria terra, e ne mise in luce la straordinaria intelligenza e lungimiranza, dal momento che oltre ad assicurare la conservazione del patrimonio artistico, librario e in generale culturale dello Stato toscano con tale documento essa pose le basi per il moderno sviluppo turistico della regione.

Anna Maria Luisa trascorse gli ultimi anni della sua vita nel suo appartamento di Palazzo Pitti, dove riceveva i propri ospiti sotto un baldacchino di argento bardato di nero, in segno di lutto per lʼestinzione della stirpe cui apparteneva; se ne allontanava solo per recarsi alla messa, e in rare occasioni usciva in carrozza per ammirare la città di Firenze nelle ore notturne. Spirò nel suo letto il 18 febbraio 1743, lamentando dei dolori al petto che la tormentavano da qualche mese e che hanno fatto ipotizzare ai medici contemporanei un probabile tumore al seno. Al momento del suo decesso sul capoluogo toscano si scatenò un violentissimo temporale che fu interpretato come un segno di cordoglio espresso dal cielo per la scomparsa dellʼultima esponente di casa Medici. Nel testamento redatto nel 1739 essa aveva indicato le sue volontà riguardo al trattamento che avrebbe dovuto essere riservato alle sue spoglie mortali: “Quando l’anima sarà separata dal corpo voglio che, solamente dalle mie donne, mi sia lavato il volto e le mani e nel restante intendo che il mio cadavere non sia scoperto né aperto”. In realtà i suoi desideri non vennero rispettati: secondo la prassi la salma fu sottoposta all’autopsia, e dopo il funerale venne depositata nella Sagrestia Nuova all’interno del complesso laurenziano. Nel 1858 i resti dellʼElettrice Palatina furono inumati in un vano posto ai piedi del pilastro di sud-ovest della cripta delle Cappelle Medicee. Con lʼapprossimarsi del 270° anniversario della morte, nel 2012 il suo scheletro è stato riesumato e sottoposto ad una serie di analisi cliniche, che hanno definitivamente fugato il sospetto che la donna fosse morta per aver contratto la sifilide dal marito Giovanni Guglielmo. Dal 2013 il Comune di Firenze rende ogni anno un doveroso omaggio alla sua figura attraverso una serie di commemorazioni ufficiali che si svolgono nella data del 18 febbraio. E quest’anno, nel 2017, con l’ingresso gratuito nei musei cittadini comunali. (Barbara Prosperi)
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https://youtu.be/bq6py1yzTE4
https://youtu.be/wNw2wc4fvjw
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