L’omaggio a Gino Balena

Il ritorno negli anni Duemila

Gino Balena se ne andò da Carmignano alla metà degli anni Settanta. Con la sua uscita di scena il San Michele subì una battuta d’arresto di alcuni anni per ripartire con nuovo slancio nel 1980. Nel frattempo quella di Balena era diventata una figura leggendaria e il suo nome veniva associato ad un’epoca unica e irripetibile che aveva segnato in maniera indelebile la storia della manifestazione. Poi dopo quasi quarant’anni si presentò all’improvviso l’occasione propizia per il suo ritorno, in modo assolutamente casuale e inaspettato.

Nell’estate del 2012 infatti Fabrizio Buricchi, allora assessore alla Cultura del Comune di Carmignano nonché principale animatore del Rione Celeste, durante una breve vacanza in Romagna si imbatté nel centro storico di Cesena in uno striscione che promuoveva una mostra di pittura dedicata all’artista Gino Balena, e spinto dalla curiosità si mosse verso il luogo dell’esposizione, dove ad accoglierlo trovò proprio il pittore. Tra i due si instaurò subito una bella intesa e si fece immediatamente strada l’idea di portare la mostra in territorio carmignanese.

Gino era felice di inviare le sue opere nel paese a cui era rimasto affezionato, che gli aveva dato tanto e a cui anche lui aveva dato tanto, tuttavia era spaventato dalla prospettiva di tornarvi personalmente perché temeva il confronto con i carmignanesi, dopo un’assenza tanto lunga aveva paura di deluderli e di rimanere deluso a sua volta, così riflettè a lungo sull’opportunità di presentarsi o meno all’inaugurazione. Alla fine vinse le sue perplessità e partecipò all’avvenimento, che ebbe luogo il giorno dell’Immacolata, in un pomeriggio freddo ed innevato rischiarato però da uno splendido sole.

La sala del Consiglio comunale e lo Spazio d’Arte Moretti, le sedi che ospitarono i suoi lavori, furono presi d’assalto dalla gente, vecchi rionali, amici ed allievi che desideravano rivederlo, abbracciarlo, farsi una fotografia insieme a lui, ma anche giovani che non lo avevano conosciuto ed erano curiosi di vedere l’artista di cui avevano tanto sentito parlare nel corso degli anni. Balena si concesse a tutti con grande pazienza e disponibilità, dispensando sorrisi, strette di mano, abbracci, conversando e sottoponendosi di buon grado al rito delle foto ricordo. Il suo fisico era appesantito, i capelli erano corti e la barba era sparita, inoltre era apparso un paio di occhali dalla montatura robusta, ma la gentilezza e la sensibilità di cui dette dimostrazione erano rimaste quelle di un tempo, e quando prese la parola il professore si lasciò andare a delle confidenze molto intime e profonde.
Ricordò che era nato in una terra straniera in tempo di guerra, che era figlio di una ragazza-madre di origini gitane, che gli era mancata la figura paterna, e che nel corso della sua esistenza si era sempre sentito un forestiero, un escluso, un diverso, una persona inadatta e fuori luogo alla ricerca del proprio posto nel mondo. Aggiunse poi che solo nel periodo trascorso a Carmignano aveva avuto l’impressione di sentirsi accolto, accettato, amato dagli abitanti del paese, e che grazie ad essi aveva avuto la sensazione di trovarsi forse per la prima ed unica volta a casa propria. “Gli anni che ho passato qui – disse infine visibilmente emozionato – sono stati in assoluto i più felici della mia vita”.

Le opere che si svelarono allo sguardo di quanti quel giorno e nelle settimane successive affollarono le due sedi della mostra raffiguravano uomini, donne e soprattutto bambini appartenenti ai paesi del Nordafrica e del Medioriente, raccontavano una umanità dolente e disperata, fiaccata dalla fame, dalla povertà, dalla guerra e forse ancor più che da ogni altra cosa dall’emarginazione, dal pregiudizio, dal timore irragionevole ed ostile che si prova nei confronti di chi è diverso. Alla luce delle dichiarazioni rilasciate dall’artista appariva evidente che tra Gino Balena e i soggetti dipinti sulle sue tele c’era un’immedesimazione totale: il professore si sentiva uno di loro, si rifletteva nella loro condizione di reietti.

Il contatto con quelli che possono essere definiti “gli ultimi della Terra” avvenne per Gino tra la fine degli anni Novanta e l’inizio dei Duemila, quando a dispetto delle sue precarie condizioni di salute il pittore effettuò alcuni viaggi nell’Africa settentrionale, e fornì nuova linfa ad una fase creativa che si era affievolita quasi trent’anni prima. Per lungo tempo infatti Balena si mantenne esercitando prevalentemente la professione di antiquario, e soltanto all’inizio del terzo millennio riprese a creare dando vita a grandi dipinti eseguiti ad acrilico e ad imponenti sculture realizzate con carta, cartone, libri ed altri elementi di riutilizzo assemblati in composizioni caratterizzate da una forte espressività.

La rassegna carmignanese costituì l’occasione durante la quale si riallacciarono gli antichi legami tra il professore e il suo rione: Gino firmò per il Bianco un nuovo stendardo che debuttò nell’edizione del San Michele 2013, ma non fu l’unica sorpresa di quell’anno, perché nell’ambito del “teatro in strada” il Rione della Torre dispiegò nella piazza la storia di Balena, davanti all’artista che la sera della finale assistette commosso alla trascinante rappresentazione. Con quella storia il Bianco conquistò il trofeo per la migliore sfilata e dedicò la vittoria all’amico di sempre, prolungando il tributo che aveva avuto inizio dieci mesi prima.

L’ultimo omaggio dei carmignanesi a Gino Balena è arrivato il 5 maggio scorso, quando una piccola delegazione di rionali formata da cinque persone ha raggiunto Cesena per prendere parte al funerale dell’artista, che è stato commemorato nella cattedrale di San Giovanni Battista. Prima di recarsi in chiesa il gruppo di amici ha fatto tappa all’ospedale Bufalini, dove Gino era esposto al pubblico, e nel porgere l’estremo saluto al pittore gli ha deposto nella bara una vecchia bandiera del Rione Bianco. Intanto in considerazione dei suoi meriti artistici nella città romagnola si sta valutando l’ipotesi di intitolare a Balena una via o una piazza che conservi per le generazioni future la memoria del suo nome e del suo operato. (Barbara Prosperi )

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