Quando il fico secco era scuro

Ricordi di un anziano contadino

Guido Prosperi, classe 1926, ottantanove anni portati con la disinvoltura di un fisico ancora integro e di una mente estremamente lucida, è uno dei sempre meno numerosi vecchi contadini della Carmignano che fu. Gli abbiamo chiesto alcuni ricordi ed aneddoti riguardanti la lavorazione ed il commercio dei fichi secchi, che insieme al vino ed all’olio d’oliva costituiscono da sempre una delle eccellenze alimentari del nostro territorio. L’intervista non è casuale, visto che proprio a settembre i fichi venivano e vengono tuttora essiccati, e le stuoie cariche di frutti riempivano e ancora riempiono le aie delle coloniche.

La produzione dei fichi a Carmignano è attestata da tempi antichissimi, come certificano svariati documenti pervenuti fino ai nostri giorni dal passato, ed il fatto che già in epoca remota la nostra cittadina veniva significativamente indicata come “Carmignan da’ fichi”; ma è solo dal 1° dicembre 2001 che è stato varato un disciplinare che ne tutela la lavorazione. A partire dalla stessa data il prodotto ha anche ottenuto il prestigioso riconoscimento di essere incluso tra i presìdi dello Slow Food .

I fichi secchi di Carmignano si distinguono e sono immediatamente riconoscibili ad occhio nudo per il colore chiaro, tendente al bianco – solcato da venature che variano dal giallo al beige, dal nocciola al grigio – che viene conferito ai frutti dall’esposizione ai vapori dello zolfo. “Ma non è sempre stato così – ricorda Guido -. L’utilizzo dello zolfo è un’acquisizione relativamente recente”. O almeno così lo era nel podere in cui Guido viveva e lavorava, dove sarebbe stato introdotto solamente intorno all’inizio degli anni Quaranta, motivato principalmente da esigenze di tipo igienico-sanitario. Sebbene la colorazione chiara della buccia li renda particolarmente gradevoli alla vista ed invitanti per il palato, al di là delle ragioni estetiche infatti la motivazione predominante per la quale i fichi iniziarono ad essere esposti ai vapori sulfurei, dice, risiedeva nell’esigenza di allontanarne i parassiti. “In particolar modo le tignole – afferma Guido -, insetti che in assenza di un trattamento specifico erano in grado di devastare intere partite del pregiato frutto”.

All’epoca i fichi secchi venivano commerciati prevalentemente nella città di Firenze, dove erano trasportati su barrocci trainati da ciuchi, e venduti ai mercati generali, da cui prendevano la via dei negozi al dettaglio. Venivano presentati ben disposti sopra i canicci sui quali erano stati essiccati, adagiati su un letto di foglie di alloro, e consegnati con gli stessi canicci che i contadini ritiravano l’anno successivo, nel momento in cui tornavano con il nuovo raccolto.
Adesso è diffuso l’abbinamento con le mandorle o con le noci. “Ma la ricetta originale del fico secco di Carmignano prevede l’esclusivo impiego dell’anice”, sostiene senza ombra di dubbio Guido. In qualche casa colonica c’era l’abitudine anche di aromatizzare i frutti con il finocchio, ma gli estimatori del prodotto storcevano il naso di fronte a questa variante considerata poco ortodossa e poco corretta.

Almeno fino all’ultimo dopoguerra all’interno del paese i fichi secchi non trovavano un grande mercato, ed erano consumati soprattutto dalle stesse famiglie che li producevano. In tempi di magra costituivano una preziosa risorsa energetica, utilissima al fabbisogno nutrizionale di uomini e donne che lavoravano duramente dall’alba al tramonto, e che non potevano disporre delle attrezzature tecnologiche cui oggi fanno normalmente affidamento i moderni agricoltori.
Per non intaccare in maniera tangibile l’introito che derivava dalla vendita dell’alimento, i fichi destinati all’uso personale erano però soprattutto quelli di piccole dimensioni, che venivano sottoposti ad un trattamento particolare. Dopo essere rimasti in forno per una notte intera, venivano esposti al sole senza essere spaccati e successivamente consumati interi.

Attualmente i fichi secchi sono considerati un prodotto d’élite, consumati come prelibato dessert e commerciati a prezzi di tutto rispetto. A tal proposito Guido ha composto un’arguta poesia, che vi proponiamo come divertente epilogo.
Noi ci abbiamo/ un grande fico secco/ a Carmignano,/ chi lo mangia/ rimane sempre sano!/ Però la tasca viene alleggerita,/ e si cammina meglio alla salita./ Ma ora è troppo rinomato,/ a sacchettini viene preparato,/ e se ne compri diversi sacchettini,/ ti ci vogliono un sacco di quattrini./ Così io glielo dico a questa gente,/ “Guardali in foto, così non spendi niente!”. (Barbara Prosperi)

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