Datini, il mercante di Prato

che amò il vino di Carmignano

Il vino di Carmignano vanta una storia antichissima, sappiamo infatti che sulle colline del Montalbano veniva prodotto già in epoca etrusca e romana, tuttavia sulle qualità della bevanda di quei tempi non abbiamo riscontri certi, ed occorre aspettare l’età medievale per trovare dei giudizi sicuri nei documenti dell’epoca. Insieme al notaio Ser Lapo Mazzei, uno dei primi estimatori che si conoscano del vino carmignanese fu Francesco di Marco Datini, passato alle cronache per il suo fiuto negli affari e soprannominato perciò “il Mercante di Prato” o semplicemente “il Mercante”.

Francesco Datini nacque a Prato nel 1335 da Marco Datini, che secondo alcuni esercitava la professione di oste e secondo altri di macellaio, e da una non meglio specificata Vermiglia. Nel 1348 Marco e Vermiglia, e con loro due dei quattro figli della coppia, morirono a causa della tristemente famosa epidemia di peste nera che falcidiò la popolazione di tutta Europa, e così Francesco e l’altro fratello superstite, Stefano, furono affidati alla tutela di un loro parente, Piero di Giunta Del Rosso, ed accolti nella casa di Piera di Pratese Boschetti, cui il Datini rimase sempre legato di profonda riconoscenza e sincero affetto.

Circa un anno dopo la morte del padre, Francesco si recò a lavorare a Firenze come garzone di bottega presso due commercianti del capoluogo toscano, e grazie a questa esperienza ebbe modo di imparare in breve tempo i rudimenti della professione mercantile. Probabilmente fu in quell’ambiente che comprese l’importanza che al tempo rivestiva la città di Avignone, allora sede del papato, centro vitale di scambi commerciali che offriva enormi opportunità di crescita economica alle persone dotate di ambizione, intraprendenza ed abilità negli affari, e concepì l’idea di trasferirsi in terra di Francia.

Nel 1350, all’età di appena quindici anni, Francesco intascò i centocinquanta fiorini ricavati dalla vendita di un podere paterno e partì coraggiosamente alla volta della Provenza per trasferirsi ad Avignone, che proprio in quel periodo stava vivendo la sua stagione più rigogliosa. Sebbene non si possiedano notizie sui primi anni della sua attività nella cittadina francese, è presumibile che il Datini abbia prestato servizio come garzone o fattore di qualche mercante fiorentino, investendo i suoi primi profitti con la prospettiva dell’apertura di un’impresa personale.

Nel 1363 Francesco si unì in società con un parente di Piera Boschetti, Niccolò di Bernardo da Prato, dopodiché, sciolto questo primo legame tra il 1365 e il 1367, si associò al fiorentino Tuccio di Lambertuccio, e alla fine del 1367 fondò una nuova compagnia insieme a Toro di Berto di Tieri, anch’egli fiorentino, finché, nel 1373, si sentì pronto per per costituire un’azienda individuale che si protrasse per circa dieci anni, durante i quali il Datini incrementò straordinariamente le proprie risorse.

Nella prima parte della sua vita lavorò con impegno e con tenacia e riuscì a costruirsi una posizione di indipendenza in maniera paziente e graduale, senza avvalersi di particolari colpi di fortuna o di audaci manovre speculative, dando vita a delle compagnie che almeno nella loro fase iniziale non si distinguevano per meriti speciali sulle altre e rientravano nei limiti usuali di tante analoghe imprese. Ma da lì a poco i tempi sarebbero stati maturi perché il genio del mercante pratese riuscisse a trasformare la sua modesta società in un imponente sistema di aziende.

Intanto nel 1376, dopo aver ricevuto molte sollecitazioni sia dagli amici che da Piera Boschetti, con la quale aveva sempre intrattenuto una assidua corrispondenza, Francesco decise di prendere moglie. La scelta cadde sulla fiorentina Margherita di Domenico Bandini, di quasi venticinque anni più giovane, orfana di padre e transfuga con la famiglia in Avignone, dopo che il genitore nel 1360 era stato ucciso nella città d’origine per motivi politici. Le nozze furono celebrate con grande sfarzo ed il matrimonio si rivelò ben riuscito, sebbene non venisse allietato dalla nascita di alcun erede.

Nel corso dei loro trentaquattro anni di convivenza i due sposi si dimostrarono sempre legati, affiatati e solidali, a dispetto del tempo che il mercante sottraeva – spesso con consapevolezza e con rammarico – agli affetti familiari. Soprattutto a causa delle sue frequenti assenze dettate da motivi di lavoro, il Datini si concesse qualche divagazione extraconiugale, tuttavia l’unione tra lui e la moglie era talmente solida che Margherita arrivò ad accogliere in casa una figlia naturale del marito, Ginevra, vissuta in famiglia fin quasi alla morte del padre, che nel 1407 la dette in sposa a Leonardo di Ser Tommaso di Giunta.

Al termine del 1382 l’azienda costituita dal Datini nel 1373 cessò la propria attività: complice anche il ritorno della sede papale da Avignone a Roma, Francesco aveva deciso di rientrare in Italia, così fondò una nuova compagnia nella quale introdusse come soci Boninsegna di Matteo e Tieri di Benci – cui aggiunse tre anni più tardi Andrea di Bartolomeo – e dopo averla consegnata nelle mani di questi suoi fidati collaboratori partì alla volta di Prato. La neonata impresa, attraverso periodici e successivi rinnovi, durò fino alla scomparsa del suo fondatore e crebbe costantemente arricchendosi di ramificazioni in prevalenza francesi, catalane e lombarde. (Barbara Prosperi – fine prima parte)

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