San Francesco e la quaresima di San Michele

Tra gli innumerevoli santi venerati dalla religione cattolica due sono quelli particolarmente cari alla comunità parrocchiale di Carmignano, che da secoli li onora con speciale affetto e devozione. Essi sono San Michele Arcangelo, patrono del paese, e San Francesco d’Assisi, che qui predicò e promosse la fondazione dell’antico convento minoritico, ai quali furono intitolate due delle quattro chiese che un tempo sorgevano nel capoluogo del Comune mediceo, e che furono legati tra di loro anche per il trasporto che nel corso della propria vita il secondo provò nei confronti del primo, come attestano tra le altre cose un viaggio che Francesco intraprese per recarsi in un luogo profondamente segnato dalla presenza dell’arcangelo e lo straordinario evento della impressione delle sacre stigmate, l’accadimento probabilmente più significativo nel percorso spirituale del santo, che la Chiesa commemora il 17 settembre.

A conferma di ciò si pone il pellegrinaggio che Francesco compì a Monte Sant’Angelo sul Gargano nel 1216, presso il santuario scavato nella roccia sul posto in cui l’arcangelo Michele apparve al vescovo San Lorenzo Maiorano l’8 maggio del 490. In quella occasione il frate non si sentì degno di accedere all’interno del sacrario e si fermò in raccoglimento e preghiera al suo ingresso, baciando ripetutamente il suolo ed incidendo su una pietra il segno della croce in forma di T (ovverosia il “Tau”, simbolo di redenzione e di salvezza particolarmente amato dai francescani), che ancora oggi è visibile vicino all’entrata del santuario e venerato come una reliquia che documenta il passaggio del poverello d’Assisi, anche se in realtà quello che i pellegrini vedono adesso è una copia, poiché il graffito originale fu distrutto nel 1806 dall’armata napoleonica. A ricordo del soggiorno del santo, nei pressi dell’entrata della caverna nel 1276 fu poi eretto un altare come omaggio al fondatore dei Frati Minori.

L’avvenimento più importante che testimonia il legame profondo tra i due santi si verificò però nel 1224 in terra di Toscana. Ogni anno San Francesco era solito osservare una speciale quaresima in preparazione della festività di San Michele, pertanto in un periodo di tempo compreso tra l’Assunzione della Vergine Maria (15 agosto) e la ricorrenza appunto degli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele (29 settembre) praticava quaranta giorni di digiuno e penitenza in raccolto isolamento. Quella volta si recò insieme ad alcuni confratelli sul monte della Verna, in Casentino, nella provincia di Arezzo, un luogo suggestivo e solitario caratterizzato da folte foreste di faggi ed abeti e da aspri rilievi rocciosi, dove la tradizione racconta che nel momento in cui Cristo spirò sulla croce si aprirono le profonde fenditure che attraversano la montagna e tra le quali è particolarmente famoso il cosiddetto Sasso Spicco.

Il monte della Verna era stato donato a Francesco e ai suoi compagni nel 1213 dal nobile Orlando Catani, conte di Chiusi, che in occasione del loro primo, fortuito incontro, avvenuto in occasione di una festa nel castello di San Leo in Montefeltro, rimase colpito dalle parole del santo e decise senza indugio di offrirgli uno dei suoi numerosi possessi, scegliendo un sito che riteneva fortemente adatto alle esigenze spirituali del fraticello e della sua comunità. “Io ho in Toscana uno monte divotissimo il quale si chiama il monte della Vernia – gli disse messer Orlando, secondo quanto si legge ne “I Fioretti” –, lo quale è molto solitario e salvatico ed è troppo bene atto a chi volesse fare penitenza, in luogo rimosso dalla gente, o a chi desidera vita solitaria. S’egli ti piacesse, volentieri lo ti donerei a te e a’ tuoi compagni per la salute dell’anima mia”. Il frate, dopo aver inviato sul posto alcuni confratelli che fornirono parere positivo sulle caratteristiche della località, accettò con riconoscenza il generoso dono del conte.

Nell’agosto del 1224 Francesco salì dunque sulla Verna col proposito di compiervi la quaresima in onore dell’arcangelo Michele. Portò con sé frate Masseo, frate Angelo e frate Leone e, individuato un luogo idoneo per il suo ritiro, isolato a tal punto che lo si poteva raggiungere soltanto camminando sopra un legno utilizzato come una sorta di passerella, dove venne approntata una piccola cella rudimentale, ordinò ai compagni di non disturbarlo per alcun motivo, dando disposizione al solo Leone di avvicinarlo una volta durante il giorno per recargli un po’ di pane e un po’ di acqua e una volta durante la notte per annunciargli il momento della preghiera del mattutino. “…verrai a me con silenzio – gli disse il poverello, sempre secondo quanto scritto ne “I Fioretti” –, e quando se’ in capo del ponte e tu dirai: “Domine, labia mea aperies”. E s’io ti rispondo, passa e vieni alla cella e diremo insieme il mattutino; e se io non ti rispondo, partiti immediatamente”. Oltre a non voler essere distolto dal raccoglimento, dalla meditazione e dalla preghiera, Francesco era infatti consapevole del fatto che non di rado cadeva in estasi, ed era suo desiderio non essere osservato nel corso di quei momenti così straordinari.

Durante quel ritiro il santo, infiammato d’amore nei confronti del Salvatore, nel giorno dell’Esaltazione della Santa Croce, che cade il 14 settembre, gli si rivolse in maniera accorata con le seguenti parole: “O Signore mio Gesù Cristo, due grazie ti priego che tu mi faccia, innanzi ch’io muoia – riportano ancora “I Fioretti” –: la prima, che in vita mia io senta nell’anima e nel corpo mio, quanto è possibile, quel dolore che tu, dolce Gesù, sostenesti nella ora della tua acerbissima passione; la seconda è ch’io senta nel cuore mio, quanto è possibile, quello eccessivo amore del quale tu, Figliuolo di Dio, eri acceso a sostenere volentieri tanta passione per noi peccatori”. Il Signore volle accontentare il suo umile servo, e così una notte gli apparve in volo sotto forma di serafino, con sei ali luminosissime ed infuocate disposte nella seguente maniera: due erano distese sopra il capo verso l’alto, due servivano a tenere la figura librata in aria, due infine coprivano il corpo di Cristo disteso sulla croce.

Dalle testimonianze di quanti erano presenti nei dintorni della Verna, sembrò che per più di un’ora il monte ardesse rischiarando di una luce vivissima i rilievi e le valli circostanti, tanto che alcuni mulattieri diretti in Romagna si svegliarono credendo che fosse giunta l’alba prima del tempo. Francesco, combattuto tra sentimenti contrastanti quali meraviglia, gioia, compassione, dolore e spavento, comprese che qualcosa di eccezionale stava per accadere nella sua vita, e quando la creatura celeste si fu dileguata scoprì sul proprio corpo i segni della passione del Redentore: lungo la parte destra del costato si era dischiusa una ferita sanguinante che pareva inferta da un colpo di lancia, mentre nelle mani e nei piedi non solo si erano aperti i fori provocati dai chiodi infissi sul legno della croce, ma in modo prodigioso si erano formati i chiodi stessi, in guisa di escrescenze carnose di colore scuro che mostravano la capocchia sul palmo delle mani e sul dorso dei piedi e la punta rigirata e ribattuta sui dorsi delle mani e sulle piante dei piedi.

“Sai tu, disse Cristo, quello ch’io t’ho fatto? – riferiscono sempre “I Fioretti” –. Io t’ho donato le Stimate che sono i segnali della mia passione, acciò che tu sia mio gonfaloniere”. A partire da quel giorno il poverello d’Assisi, sempre più minato dai problemi di salute e dalle privazioni e prossimo alla morte, che sarebbe avvenuta per consunzione di lì a due anni nell’ottobre del 1226, fu impossibilitato a deambulare se non per brevissimi tratti e continuamente divorato dai dolori causati delle cinque piaghe, che perdevano costantemente sangue e gli impedivano di svolgere le più comuni attività quotidiane. Per non mostrarle né in pubblico né ai propri confratelli cercava di nasconderle con strette fasciature, portando le maniche del saio allungate fin sulle dita delle mani e indossando dei calzini che normalmente non avrebbe adoperato.

Per la Chiesa romana egli è stato il primo stigmatizzato della storia. Non è dato sapere con esattezza in quale data questo straordinario fenomeno soprannaturale si sia verificato, tuttavia nel calendario liturgico cattolico è stato scelto il 17 settembre per celebrare la memoria della stigmate che San Francesco ricevette sulla Verna.Tutto ebbe inizio dalla quaresima in onore di San Michele. E la chiesa parrocchiale di Carmignano, che adesso è dedicata al principe delle gerarchie angeliche ma che anticamente era intitolata al frate di Assisi e sorge nel luogo che ospitava il primitivo complesso francescano, sottolinea la ricorrenza in maniera speciale, soprattutto perché le suore che alloggiano nell’Istituto Antonio Ricci del paese, situato a breve distanza dalla pieve di San Michele, appartengono all’Ordine delle Stimmatine.
All’interno della chiesa sul terzo altare di destra, dedicato a San Francesco, posizionato subito dopo quello con la “Visitazione” del Pontormo e immediatamente prima dell’area presbiteriale, figura una interessante tela attribuita da alcuni a Giovan Battista Naldini e forse derivata da un fortunato esemplare di Jacopo Empoli, che rappresenta proprio l’episodio delle stigmate. A ricordare il legame tra l’arcangelo e il fondatore dei Minori Conventuali l’edificio presenta anche due vetrate di manifattura fiorentina, realizzate entrambe nel secondo dopoguerra, che riproducono l’effigie di ambedue i santi: il primo campeggia nell’oculo posto al vertice della semplice facciata a capanna, il secondo nella finestra che dà luce alla cappella absidale sinistra. Una statua che replica in scala minore il San Michele scolpito da Andrea Sansovino per il santuario di Monte Sant’Angelo è stata donata alla parrocchia dalla Associazione Mater Caritas nel 2013 e collocata nel presbiterio di fianco all’altare maggiore. (Barbara Prosperi)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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