La tradizione del "Calendimaggio"

L'antico modo di salutar primavera

Stornellatori di versi antichi quasi come rock star. La tradizione del “Calendimaggio” o del “Cantar maggio”, ancora oggi in voga, si perde nella notte dei tempi, probabilmente all’epoca in cui le antiche popolazioni dei Celti e degli Etruschi, due civiltà che attribuivano una grande importanza al ciclico alternarsi dei ritmi della natura e al tema della fecondità, praticavano una serie di riti a carattere propiziatorio per salutare l’avvento della buona stagione, ma secondo alcuni studiosi le origini dell’usanza affondano le loro radici in tempi ancora più remoti e meno conosciuti.
Le notizie più certe di cui disponiamo risalgono al periodo medievale e rinascimentale, e derivano in larga parte prevalentemente dall’ambiente toscano ed in particolar modo fiorentino, in cui la festa del “Calendimaggio” veniva celebrata con grande risalto. Essa intendeva dare il benvenuto alla primavera e prendeva ufficialmente il via il primo giorno di maggio, ovverosia secondo la vecchia determinazione temporale desunta dalla cultura latina “per le calende di maggio”, da cui è derivato il nome della manifestazione.
L’apertura vera e propria dei festeggiamenti in realtà avveniva già il 30 di aprile con sfilate e cortei che si snodavano lungo le principali vie della città, sotto finestre e balconi che per l’occasione venivano ornati con festoni di alloro, arazzi e bandiere. Il primo maggio nello specifico era dedicato al cosiddetto rito della fioritura, quando in onore del risveglio della natura i fiorentini portavano in processione i famigerati “maggi” o “maj”, cioè i rami fioriti degli alberi che i giovani appendevano alle porte delle abitazioni delle ragazze di cui erano innamorati come simbolo evidente di corteggiamento: se la fanciulla in questione riponeva in casa il ramo lasciato sull’uscio dimostrava in maniera inequivocabile di apprezzare lo spasimante.
Nei giorni iniziali del mese si svolgevano le “maggiolate”, allegre celebrazioni caratterizzate da canti, musiche e balli durante le quali le giovinette, con le teste ricoperte da ghirlande di rose, giaggioli e ginestre, andavano a passeggio per le strade di Firenze, e grazie all’accompagnamento di svariati strumentisti improvvisavano delle danze “a rigoletto” (in girotondo) e cantavano alcune ballate composte con i versi dei poeti.
In quel periodo le attività commerciali venivano sospese, e per un mese la città diventava la sede di spensierati ritrovi popolari. Il 3 maggio l’Arte dei Calzaioli o Calzolai era solita onorare solennemente il suo protettore San Filippo, allestendo presso la statua che lo raffigurava in una nicchia di Orsanmichele un altare riccamente addobbato con alloro, fiori e lumi, oltre che con la consueta “fiorita”, ovvero un sontuoso tappeto costituito da foglie e fiori primaverili steso sul selciato. Il centro nevralgico delle più importanti manifestazioni era piazza della Signoria, ma tutto l’abitato risultava coinvolto e impegnato nei festeggiamenti.
In piazza della Santissima Annunziata per esempio aveva luogo un fastoso mercato rurale che durava tre giorni, e anche le campagne più prossime al tessuto urbano venivano inondate dai gruppi festanti di quanti vi si recavano per cantare romantiche storie d’amore e per raccogliere le “pratoline”, vale a dire le piccole margherite di campo che servivano per intrecciare le ghirlande con cui incoronare la bella del momento, denominata la “regina (o la sposa) di maggio”.
Ai lieti conviti del “Calendimaggio” si radunavano intorno alle mense sia dei signori che dei popolani parenti, amici e vicini che vi intervenivano allegramente. Nel “Trattatello in laude di Dante” Boccaccio ricordò significativamente che il primo maggio del 1274 il sommo poeta, allora appena bambino, incontrò per la prima volta la sua amata Beatrice nel corso di un ricevimento offerto nell’abitazione di Folco Portinari, padre della fanciulla.
Nella ballata intitolata “Ben venga maggio” Angelo Poliziano descrisse i riti legati al giorno del “Calendimaggio” e fece riferimento alle gare ed alle giostre a cui i giovani partecipavano per conquistare il cuore delle ragazze desiderate nel pieno della stagione primaverile, vista come il tempo dell’amore per eccellenza. “Ben venga maggio / e ‘l gonfalon selvaggio! – / Ben venga primavera, / che vuol che l’uom s’innamori – scrisse il poeta –. Ciascuna balli e canti / di questa schiera nostra. / Ecco che i dolci amanti / van per voi, belle, in giostra: /qual dura a lor si mostra / farà sfiorire il maggio”.
Nonostante il declino subito dalla manifestazione nei secoli successivi (e a dispetto del fatto che durante il ventennio fascista fu severamente proibito il “Cantar maggio”), in alcune regioni d’Italia tra le quali si possono annoverare la Toscana, la Liguria, il Piemonte, la Lombardia, l’Emilia Romagna, le Marche, l’Umbria ed il Molise si è conservata l’antica tradizione di rendere omaggio all’arrivo della primavera, sia attraverso la realizzazione di accurate rievocazioni in costume che mediante il perpetuarsi delle peregrinazioni canore. In Toscana quest’ultima usanza è ancora particolarmente viva e sentita nelle province di Firenze, Prato e Pistoia, in Lunigiana, in Garfagnana ed in Maremma.
In questi luoghi a tutt’oggi i “maggiaioli” o “maggianti” o “maggerini” continuano a praticare la consuetudine di spostarsi suonando e cantando da un’aia all’altra, e ricevendo in cambio del loro intrattenimento generi alimentari offerti dagli ospiti visitati di volta in volta. Muniti di chitarre e fisarmoniche, organetti e tamburelli, vanno deliziando il pubblico che assiste alle loro variopinte esibizioni con canzoni, stornelli e versi improvvisati in ottava rima.
Tra le tante rassegne dedicate al “Cantar maggio” spicca sicuramente il “Maggio Itinerante Pistoiese”, che dal 2003 si celebra sulle montagne della provincia di Pistoia lungo l’intero arco del mese e viene festeggiato oltre che nel capoluogo nelle località di Popiglio, Piteccio, Campo Tizzoro, Bardalone, Montagnana, Prataccio ed altri ancora. La nascita e la vitalità del festival si deve soprattutto al Collettivo Folcloristico Montano, un gruppo formato da cantanti sia maschili che femminili accompagnati da suonatori di strumenti sia a corda che ad ancia che a percussione, che dal 1973 opera instancabilmente sul territorio con l’obiettivo di mantenere in vita la vetusta tradizione. (Barbara Prosperi)

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