“Né legno né stoffa, ma pura emozione”

Melania Crescioli racconta il verde

Negli anni la vita dei quattro rioni, identificati storicamente con una zona se non addirittura un quartiere, si è arricchita grazie all’arrivo di persone ‘importate’ da fuori, che niente avevano a che fare con la festa e che neppure abitano a Carmignano. C’è chi si è limitato a sfilare e chi è entrato nel gruppo regia. Il San Michele ha acquisito così nuova linfa e non è rimasto circoscritto alla sola compagine carmignanese. Grazie a Melania Crescioli (34 anni), originaria di Prato ma carmignanese di adozione, possiamo raccontare la storia di chi, come lei, è entrato in un rione, in questo caso nel rione verde, e per amore della festa non se ne è più andato.
Come sei arrivata nel rione verde?
Ci sono arrivata grazie alla mamma, che aveva conoscenti nel rione. Ho sfilato la prima volta che non avevo ancora quattro anni, nel 1987, insieme alla mia famiglia. La sfilata si intitolava “24 ore”, noi eravamo tre figure fantasma nell’ultima scena. Eravamo vestiti e truccati di bianco. Da allora non ho mai smesso di vestirmi: il San Michele per me è sempre stato una festa al pari di Natale e di Pasqua. In più nel rione avevo il mio gruppo di amici, che vedevo una volta all’anno ma era come se li avessi visti il giorno prima.
Ad oggi quale ruolo ricopri all’interno del rione?
Attualmente sono all’interno del gruppo regia del rione verde. Nel 2011 si è formato un nuovo gruppo, che all’epoca era costituito oltre che da me e da mio marito Giorgio Mannelli, da Sara e Silvia Grassi, da Stella e Stefano Spinelli e da Azzurra Del Lucchese. Non tutte queste persone sono rimaste nella regia, per diversi motivi, ma da allora il mio rapporto con il rione è diventato molto più stretto. Insieme ci occupiamo dell’ideazione della sfilata fino alla scrittura del testo, che sarà poi la base della rappresentazione teatrale.
Dal 2011 c’è stato quindi un ricambio alla guida del verde, da allora cosa è cambiato?
Negli anni precedenti al 2011 il rione verde era molto sottotono, perché non vinceva dalla sfilata di “Caro Pinocchio” del 1995. Poi siamo arrivati noi e sicuramente abbiamo portato nuove idee, che ci hanno fatto ottenere a volte la vittoria e comunque buoni piazzamenti. Il primo anno è stato quello del riscatto: abbiamo portato in piazza “Una cento mille verità” incentrata sulla storia dei due carabinieri, Vittorio Pucci e Giuseppe Verdini, assassinati nella zona di Renacci a Carmignano nel 1921. Non abbiamo vinto, ma avere lavorato a quella storia ci ha permesso di conoscerci, finché poi nel 2012 abbiamo realizzato “Carmignano così è, se vi pare!”, dedicata al tema della follia, e restituito la vittoria al nostro rione dopo diciassette anni di silenzio.
La sfilata del 2012 era basata su una tematica sociale, qual è stato il lavoro a monte che vi ha portato a scrivere quella storia?
Abbiamo svolto un grande lavoro di documentazione, durato per un anno intero. Il libro che sta alla base del nostro racconto è “Centro di igiene mentale. Un cantastorie tra i matti” di Simone Cristicchi, che ha raccontato i suoi mesi come volontario in un centro di igiene mentale e le storie, forse romanzate, dei personaggi che abitano questo mondo pieno di tenerezza ma anche di sofferenza. Oltre a questo, abbiamo fatto un’opera di ricerca sui trattamenti sanitari e sulla legge Basaglia: ricordo che la nostra regista, Silvia Mercantelli, era molto presa da questo tema e a cascata ne siamo stati tutti coinvolti.
Era una storia fatta di tante storie: come siete riusciti a tirare fuori i personaggi dei folli?
Non abbiamo dato nessuna indicazione interpretativa ai rionali, li abbiamo lasciati liberi di tirare fuori il “matto” che era in loro. L’effetto per niente improvvisato è stato quello di una scena corale in cui ogni rionale esprimeva se stesso, soltanto attraverso la follia che più o meno inconsapevolmente aveva dentro e magari non sapeva nemmeno di avere.
Alla fine la giuria ha premiato la vostra regia, quale pensi sia stata la motivazione di quella vittoria?
Il progetto ha vinto perché per la prima volta i rionali si sono sentiti attori in piazza, liberi di dare sfogo alla propria personalità e di rivedere un pezzo di se stessi nella rappresentazione. Abbiamo lanciato un modo nuovo di fare teatro e penso che quella sfilata abbia segnato una svolta anche per gli altri rioni, che si sono adattati di conseguenza a questa nuova formula teatrale della festa. Nel 2012 ha vinto l’emozione, che è stata condivisa dal rione e dal pubblico, e quella è una cosa che non passa attraverso grandi carri o scenografie. L’emozione c’è anche se non si vede e non si fa né col legno né con la stoffa.
Come sempre succede l’emozione culminava nel finale, qual è stato il messaggio che il rione ha voluto lasciare al pubblico?
La sfilata del 2012 si chiudeva con una scena corale di personaggi che si toglievano il camice e restavano vestiti in maniera molto eccentrica. Il messaggio finale era: siamo poi così diversi, noi che siamo folli da voi che siete persone normali? La sfilata voleva lanciare un interrogativo, invitando le persone a non fossilizzarsi nel pregiudizio ma anzi a cambiare il loro punto di vista.
Dopo il 2012 sono stati affrontati altri temisociali dal rione?
Nel 2014 abbiamo portato in piazza, grazie alla guida del nuovo regista Riccardo Giannini, un’altra rappresentazione teatrale, intitolata “C’è qualcuno che ride”, ispirata ad una storia vera ma restituita in forma fiabesca. La storia affrontava il tema dell’omosessualità e raccontava di un padre che trova il coraggio di accettare se stesso e la sua identità sessuale decidendo di comunicarlo alla figlia.
La tematica sociale rappresenta quindi lo stile del rione, come siete arrivati a capirlo negli anni?
Prima del teatro in strada i temi della festa riguardavano spesso la storia oppure i prodotti di Carmignano. Noi abbiamo capito che questi filoni non ci bastano più e probabilmente non bastano neppure agli altri rioni. Dal 2012 ci siamo allontanati dallo schema classico di sfilata e portato in piazza un altro genere di rappresentazione, che punta all’emozione e non a colpire con grandi carri ed effetti scenici. Questo è il nostro stile, ma è giusto che ogni rione resti fedele alla propria identità per il bene della festa.
Come hai vissuto quindi il cambio di rotta verso il teatro in strada?
Penso che il cambiamento sia stato positivo. Sento molto vicino a me questo genere di rappresentazione e spero anche che la festa resti su questa direttrice. (Valentina Cirri)

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