La mamma di Leonardo era un’orfana di Vinci

Lo sostengono Kemp e Pallanti

Procedono senza interruzione le ricerche sull’opera, la figura e le origini di Leonardo, il genio del Rinascimento italiano che aveva le sue radici nel territorio del Montalbano, e più precisamente nei borghi di Vinci e Bacchereto, e mentre negli ultimi anni sembrava pressoché accertata l’estrazione mediorientale della madre, in base alle indagini scientifiche eseguite dal professor Luigi Capasso, direttore del Museo di Storia delle Scienze Biomediche dell’Università di Chieti e Pescara, e avallate dal dottor Alessandro Vezzosi, direttore del Museo Ideale Leonardo da Vinci, in tempi più recenti si è rafforzata l’ipotesi che ritiene Caterina una popolana di Vinci, secondo quanto rivelato da Martin Kemp, docente di Storia dell’arte all’Università di Oxford, e da Giuseppe Pallanti, ricercatore di storia locale.

Attraverso l’esame incrociato di diversi documenti d’archivio, rintracciati nel corso di lunghe ed accurate indagini effettuate in particolare presso l’Archivio erariale di Firenze, la Biblioteca Leonardiana, l’Archivio storico comunale e quello parrocchiale della chiesa di Santa Croce di Vinci, Kemp e Pallanti affermano infatti che è stato possibile identificare la madre di Leonardo nella giovanissima Caterina di Meo Lippi, la quale all’epoca della nascita del futuro artista aveva sedici anni e viveva con un fratellino di appena tre nel piccolo borgo rurale. In una dichiarazione catastale che risale al 1451, ovvero all’anno in cui rimase incinta del bambino, sia la ragazza che il fratello erano stati registrati come orfani del padre, Bartolomeo, deceduto in giovane età, mentre non veniva fatta menzione della madre (o delle madri) dei due, che sembra fossero stati seguiti dalla nonna paterna nell’abitazione che questa aveva in località Mattoni, nel quartiere di Santa Croce.

La giovane, orfana e di modeste condizioni economiche, venne quasi sicuramente sedotta dal notaio ser Piero, più grande di dieci anni, che trascorreva molti mesi dell’anno a Firenze per motivi di lavoro, durante uno dei suoi soggiorni nel paese natale, e come è ormai noto la nascita del piccolo non fu né preceduta né seguita da un matrimonio riparatore, perché la posizione sociale di Caterina non era consona a quella di un uomo di legge, e quest’ultimo era peraltro già fidanzato con Albiera di Giovanni Amadori, una fanciulla appartenente ad una famiglia dell’alta borghesia fiorentina con cui era già stata concordata un’unione che avrebbe portato vantaggi e prestigio ad entrambe le casate. Ser Piero infatti celebrò le proprie nozze con Albiera pochi mesi dopo l’arrivo di Leonardo, mentre Caterina si sposò con il fornaciaio Antonio di Piero Buti detto l’“Accattabriga” circa due anni più tardi.

Quello con Antonio fu certamente un matrimonio combinato dalla famiglia di ser Piero, che intese così porre rimedio alla condotta poco ortodossa tenuta del giovanotto, il quale si era approfittato di una ragazza sola e indigente (la nonna Giovanna risultava scomparsa almeno nel 1450). “Creatura più vulnerabile è difficile immaginarla – ha affermato Kemp riferendosi con parole cariche di tenerezza a Caterina –, una giovane donna che “nella sua minuscola proprietà di Vinci aveva subito dalla vita colpi di ogni tipo, in un’epoca in cui senza un uomo in casa una ragazza rimaneva totalmente in balia degli eventi”. (Barbara Prosperi)

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