Bruno Corsi è tornato a casa

Soldato, era morto in Germania

A 76 anni dalla morte sono finalmente tornati a casa i resti dell’artigliere Bruno Corsi, di cui si erano perse le tracce subito dopo la deportazione in Germania. E’ stata la conclusione di una lunga odissea, per la quale è stato determinante l’intervento del Ministero della Difesa di Roma, che nei mesi scorsi ha pazientemente condotto in porto la delicata operazione di rimpatrio. Alla messa in memoria del militare, celebrata il 21 ottobre nella chiesa dei Santi Michele e Francesco di Carmignano, hanno presenziato una delegazione degli Artiglieri di Firenze e Prato e gli Alpini dei Comuni medicei.

Bruno era nato il 10 dicembre del 1912 a Campi Bisenzio; da ragazzo aveva imparato il mestiere di meccanico e nel 1932 aveva intrapreso la carriera militare trasferendosi a Firenze. Durante il secondo conflitto mondiale venne inviato al fronte croato con il III Reggimento di Artiglieria Contraerea, e da lì non fece più ritorno a casa. Fatto prigioniero dai tedeschi il 12 settembre del 1943, subito dopo l’armistizio e la rottura del patto di alleanza con Hitler, fu internato prima a Sarajevo e poi in Germania, in Bassa Sassonia, nello Stalag XI B di Braunschweig, dove venne assegnato ad un campo di lavoro caratterizzato da condizioni di vita durissime.

Il 17 settembre del 1944 rimase vittima di un attacco aereo e fu sepolto nel cimitero militare d’onore di Amburgo, ma la famiglia venne informata del suo decesso soltanto due anni più tardi, e i suoi cari non ebbero mai la possibilità di piangerne la scomparsa sulla sua tomba, perché non seppero mai dove era stato inumato. Di Bruno con il passare del tempo era rimasto solamente un mandolino che il giovane aveva lasciato alla sorella, e che questa ha poi tramandato alla figlia e alla nipote, la giornalista Maria Serena Quercioli, conosciuta nel territorio mediceo come corrispondente de La Nazione sulle pagine della cronaca Prato, la quale con grande tenacia ha svolto anni di ricerche per ritrovare lo zio materno.

In casa ho sentito parlare in maniera ricorrente di Bruno Corsi fin dai miei primi anni di vita – racconta Maria Serena –, così ad un certo punto ho iniziato ad intraprendere delle indagini per capire se era possibile rintracciarne la sepoltura e riportarlo in patria. Dopo aver girato a vuoto per circa venticinque anni – continua la giornalista – ho finalmente trovato la strada giusta grazie al sito www.dimenticatidistato.com e all’aiuto del ricercatore veneto Roberto Zamboni, attraverso il quale è stato possibile individuare la tomba dello zio. Anche se gli è stata riservata una sepoltura di tutto rispetto – prosegue Maria Serena – ho comunque preferito avviare le pratiche per riavvicinarlo ai suoi familiari e alla città di Firenze, che tanto amava”.

Quella di Bruno è una vicenda che ha interessato tanti soldati italiani, inviati nei campi di detenzione in Germania a seguito del loro rifiuto di entrare a far parte dell’esercito tedesco, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 (leggi la storia dei carmignanesi Corrado Capecchi e Filiberto Palloni). Nel corso delle ricerche dell’artigliere campigiano è emersa la presenza di altri sessantacinque militari della zona compresa tra Firenze e Prato, sepolti nei cimiteri dislocati tra Germania e Polonia: trentasei sono originari di Firenze, altri tre di Campi Bisenzio, dieci di Prato, cinque di Cantagallo, sei di Carmignano (nel numero potrebbero essere compresi anche soldati di Poggio a Caiano, che all’epoca costituiva un Comune unico con Carmignano), due di Montemurlo, due di Vernio, uno di Vaiano.

Dopo la celebrazione religiosa le spoglie di Corsi sono state tumulate nel cimitero di Seano, dove la Quercioli abita insieme alla mamma Franca Ballerini, e hanno trovato sistemazione accanto a quelle di un altro soldato reduce dai campi di prigionia tedeschi, Domenico Sabino, rientrato nella frazione medicea qualche anno fa, nel 2013. Anche lui non aveva  mai vissuto a Seano, ma nel paese dal 1961 abita la sorella (leggi la storia).

“Questo ultimo atto per la mia famiglia significa chiudere definitivamente una storia rimasta in sospeso per tanti anni – conclude Maria Serena –, ma allo stesso tempo è anche un modo per ricordare e rendere omaggio ai tanti caduti italiani che pagarono a caro prezzo la loro decisione di non aderire al nazifascismo”. Per Bruno Corsi è stata avanzata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri la richiesta di una medaglia d’onore. (Barbara Prosperi)

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