Un libro dedicato a “L’antica via etrusca da Comeana a Pietramarina”. A scriverlo è stato Doriano Cirri e nei giorni scorsi è stato protagonista di una serata letteraria all’interno della fiera del paese. Il libro ha visto la luce grazie ad Attucci Editrice alla fine del 2024, grazie all’assemblaggio e alla rielaborazione di appunti, annotazioni e scatti fotografici raccolti in oltre vent’anni di escursioni sul Montalbano, per fermare sulla carta le emozioni, le sensazioni e i pensieri dell’autore, che in questa sua opera illustra i tanti aspetti che si accompagnano all’esercizio della camminata. La pubblicazione infatti affronta e approfondisce l’argomento da molteplici punti di vista, fornendo al lettore numerosi spunti di riflessione, e proprio per queste sue caratteristiche sfugge a qualunque tipo di catalogazione. Il volume contiene in sé gli elementi propri di diversi generi letterari, tuttavia li travalica tutti, eludendone i confini. È in parte guida alle bellezze paesaggistiche della zona, saggio sulla natura, la storia, l’arte e l’archeologia del territorio, racconto autobiografico, trattato di psicologia, sociologia e antropologia, testo filosofico, manuale di meditazione e molto altro ancora.
Nel corso delle circa ottanta pagine che compongono il libro – agile ma particolarmente denso – viene descritto il tragitto che Doriano ha più volte coperto negli anni, da solo o con altre persone, per congiungere idealmente due località accomunate dalla presenza del popolo etrusco: Comeana, che ospita le necropoli dei nostri illustri antenati, e Pietramarina, dove sorgeva una poderosa roccaforte che molto probabilmente custodiva al suo interno un’importante area dedicata al culto. Durante questo percorso, che tra i due estremi tocca le Fonti, l’Erzana, la Fontina, la Fonte di Nocchio, il Rio Carpineto, Verghereto, Montalgeto, la Docciolina, San Martino in Campo, la Valicarda e San Giusto, si compie un affascinante viaggio nel tempo e nello spazio, perché attraversare un territorio significa non solo esplorarne i luoghi ma anche ripercorrere la storia di chi ci ha preceduto nei secoli e nei millenni. Così ad un certo punto Cirri osserva con lo sguardo incantato dell’immaginazione Bianca Cappello che si reca in carrozza dalla villa medicea di Poggio a Caiano alla fattoria granducale delle Ginestre, un pellegrino che cerca ospitalità all’abbazia di San Martino lungo i suoi spostamenti per la Via Francigena, un etrusco che con la brocca di terracotta scende da Artimino per approvvigionarsi di acqua fresca alla Fontina.
Ma non manca di menzionare anche le generazioni che sono vissute in epoche meno remote, e che hanno lasciato il segno del loro passaggio e della loro operosità nel lavoro di trasformazione dei campi, grazie alla regimentazione dei corsi d’acqua, alla realizzazione di terrazzamenti e muretti a secco, nella cura e nella manutenzione attenta e costante dei terreni. All’ordine della campagna l’autore contrappone il carattere più selvaggio del bosco, oscuro e per certi versi inquietante, ma anche maggiormente incontaminato perché segnato in misura minore dall’attività talvolta deleteria dell’essere umano. E sottolinea che l’incuria, l’inquinamento, il disboscamento, l’erosione del suolo, gli interventi edili sconsiderati che si legano spesso alle attività dell’uomo mettono quotidianamente a rischio l’integrità, la purezza, la bellezza della natura. In queste considerazioni si avverte chiaramente l’esperienza diretta dell’ex sindaco, che da primo cittadino ha dovuto affrontare più volte problematiche di carattere ambientale, con emergenze connesse al dissesto idrogeologico.
Proprio il bosco è forse l’elemento naturale che più affascina Doriano Cirri, che più lo emoziona e lo riempie di meraviglia, mettendolo in contatto con la parte più profonda di sé. A prima vista il bosco appare come un’unità indistinta, invece è costituito da una miriade di forme di vita differenti, perché accoglie dentro di sé infinite varietà di alberi, piante, insetti, animali di ogni tipo, che l’essere umano è tenuto a rispettare e ad avvicinare in maniera discreta e con riguardo. Ampio spazio è dedicato alla descrizione degli alberi, delle erbe, dei fiori, dei funghi, ma anche degli uccelli, della loro livrea, del loro canto, delle abitudini, dei movimenti migratori, così come alla danza delle lucciole, che ammalia chi si ferma a guardarla. Quello offerto dalla natura oltre che immenso è uno spettacolo gratuito, così come gratuito è camminare, l’unica attività sportiva insieme alla corsa che non richiede costi, iscrizioni e attrezzature particolari. Che si tratti di una passeggiata a cadenza blanda o di una escursione impegnativa, il dato invariabile è che per camminare non si paga: basta un paio di scarpe e si può andare dappertutto, muovendosi sulle strade più battute e conosciute così come nei sentieri più nascosti ed impervi.
I benefici che si possono trarre da questa pratica salutare, che dovrebbe trasformarsi in buona abitudine, sono però inestimabili: camminare aiuta a mantenersi in forma, a rilassarsi, a rigenerare il corpo e la mente, a disintossicarsi dai ritmi frenetici imposti dal lavoro, dai mille impegni della vita quotidiana, da un sistema socio-economico che fa leva sulle nostre insoddisfazioni per spingerci a desiderare, ad acquistare e a consumare. Si può avanzare a passo lento o spedito, da soli o in compagnia, a seconda delle circostanze, delle esigenze o degli obiettivi, ma l’attività motoria all’aria aperta, che oltre ad essere gratuita non persegue fini di lucro, è sempre un esercizio che arricchisce enormemente. Favorisce infatti la contemplazione del paesaggio, della flora e della fauna, la comprensione della storia, la conoscenza del proprio corpo, le relazioni interpersonali, dispensando gratificazioni di ordine emotivo e psicologico, svincolate dal materialismo e fortemente appaganti. Questo perché camminare significa affrontare un viaggio sia esteriore sia interiore, che agevola l’immersione nella propria spiritualità, ma anche l’interazione con l’altro.
Accompagnarsi ad altri escursionisti insegna a sincronizzare il proprio passo con quello altrui, accelerando quando si perde il ritmo o rallentando per aspettare chi rimane indietro, a capire le necessità di chi ci sta accanto, a mettersi in ascolto, a farsi partecipe delle difficoltà che sperimentano quotidianamente uomini e donne che nella vita hanno avuto meno fortuna di altri, fragili, segnati in qualche modo dalla diversità, e diventati per questo molto fragili. Sfiorando con delicatezza questo tasto l’autore fa riferimento agli ospiti delle case famiglia presenti sul territorio, che sono stati parte integrante de I Folletti del Montalbano, gruppo trekking eterogeneo che è andato spesso in giro per le nostre zone. Il termine folletto, oltre che alle creature immaginarie che secondo la fantasia popolare abitano nei boschi, costituisce un richiamo evidente al concetto di follia. E a questo punto Doriano si interroga su cosa sia veramente la follia, si chiede quale sia il limite non di rado labile tra normalità e anormalità. Un quesito a cui non è semplice trovare una soluzione, così come alle tante altre domande di carattere esistenziale che Cirri si pone nel libro e che sono destinate a rimanere senza risposta.
In definitiva la pubblicazione è caratterizzata da una forte impronta filosofica ed è attraversata da una piacevole vena lirica, poetica, a tratti romantica, che mette in evidenza la sensibilità dello scrivente. La lettura è scorrevole; il lessico, mai banale, spazia da vocaboli tecnici, aulici, eleganti ad altri popolari, gergali, dialettali, come ad esempio “sarvatico”, “palèo”, “borraccino”. La prosa è pregevole, impreziosita da citazioni colte, sempre pertinenti, desunte dai grandi protagonisti della letteratura italiana, da Dante a Petrarca, da Lorenzo il Magnifico a Leopardi, da Carducci a Ungaretti. Da questi elementi si ipotizza una stesura lenta, meditata, certosina, come in fondo è lenta l’andatura che il libro sembra voler suggerire a chi intenda cimentarsi nell’esperienza proposta, tesa a contrastare lo stress, ad assaporare l’immersione nella natura e nel proprio io, ad abbandonare la frenesia, la competitività, l’aggressività che tante volte si insinuano nelle nostre vite. Paradossalmente a tessere questo elogio della calma, della pacatezza, della lentezza è un uomo che da ragazzo ha disputato delle gare di velocità, esprimendo tutta la potenza fisica che si lega all’età della giovinezza, e che anche in virtù del suo vissuto personale può confrontare con cognizione di causa i due diversi modi di affrontare il viaggio dell’esistenza umana. (Barbara Prosperi)