Un libro sulle origini di Leonardo

Una storia (in parte) da riscrivere

Le origini di Leonardo dovranno probabilmente essere riscritte, se non completamente almeno in parte, questo perché le ricerche condotte per alcuni decenni da Alessandro Vezzosi, che stanno iniziando ad essere rivelate al grande pubblico soltanto adesso, hanno portato alla luce elementi inediti e sorprendenti che riguardano la genealogia del genio del Rinascimento italiano. Le prime rivelazioni hanno interessato in particolare la figura del nonno paterno, Antonio, sul quale sono stati scoperti dei trascorsi inimmaginabili, che ne hanno attestato una rilevante attività commerciale in campo internazionale grazie alla presenza documentata in Spagna e Marocco.

Queste prime informazioni sono contenute nel libro “Il DNA di Leonardo. Le origini” di Alessandro Vezzosi e Agnese Sabato, che è stato presentato lo scorso 27 marzo all’Archivio di Stato di Prato, e che si configura come il primo di una trilogia che dopo aver preso in esame gli avi dell’artista proseguirà con un secondo volume dedicato ai genitori ed un terzo incentrato sulla discendenza da parte dei fratelli con una particolare attenzione nei confronti di Domenico Matteo, da cui si sono diramati numerosi eredi di cui alcuni ancora in vita. Tra i tanti, come è stato annunciato nel 2016, anche il regista Franco Zeffirelli , che fa parte di un gruppo attualmente composto da quarantuno persone.

Il lavoro intrapreso da Alessandro Vezzosi, direttore del Museo Ideale Leonardo Da Vinci, uno dei maggiori conoscitori dell’artista toscano, coadiuvato in anni recenti da Agnese Sabato, presidente dell’Associazione Internazionale Leonardo da Vinci, storica, ha cominciato a prendere forma a livello teorico cinquant’anni fa, nel 1969, e si è poi concretizzato a partire dal 1973, quando lo storico dell’arte ha avviato le indagini sul campo esaminando attentamente centinaia di documenti conservati in biblioteche, archivi, catasti, ed esplorando luoghi come chiese, cappelle e cimiteri. “Gli archivi sono le miniere della ricerca storica – ha sottolineato Vezzosi durante la presentazione del libro –, che si basa sullo studio paziente delle carte, e che poco o niente ha a che vedere con scoop di tipo mediatico che non hanno alcun riscontro documentario”.

Proprio dal Fondo Datini, conservato presso l’Archivio di Stato di Prato, che è il più importante archivio mercantile medievale d’Italia e d’Europa, sono emersi i legami di sangue e di affari tra Antonio, il nonno di Leonardo, e il famoso mercante Frosino di ser Giovanni, suo cugino, attivo a Barcellona tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, che fu in rapporti di lavoro con la compagnia del celebre Francesco di Marco Datini . Attraverso il rinvenimento di alcune lettere ad esempio sappiamo per certo che Antonio nel 1402 si trovava ad Alcudia di Barberia, in Marocco, un importante centro portuale per i cristiani che commerciavano con gli ebrei e i musulmani, dove aveva venduto ed acquistato merci di valore quali pepe di Guinea e coloranti e fissanti per stoffe e una grande quantità di panni d’ogni specie, e che nel 1504 era a Barcellona in qualità di procuratore delegato dal cugino Frosino per riscuotere dai mercanti italiani la tassa sul passaggio delle merci Una volta rientrato a Vinci, volle conservare una traccia del suo passato dando a suo figlio Piero, il padre di Leonardo, il secondo nome di Frosino.

Il fatto che Antonio per una parte della sua vita fosse stato un viaggiatore e un mercante attivo nel Mediterraneo non può non sorprendere, considerato che fino ad oggi si è creduto che non avesse mai esercitato una professione vera e propria e si fosse limitato a gestire gli appezzamenti terrieri ereditati dal padre. Non avendo seguito la tradizione di famiglia, che sfornava notai da parecchie generazioni, e avendo dichiarato nella portata al catasto del 1427 di essere “sanza veruno aviamento e sanza ufizi”, ovvero di non aver mai praticato un mestiere specifico, veniva ritenuto alla stregua di un nullafacente che campava di rendita, al pari del figlio Francesco, di cui nel 1457 Antonio scriveva che “sta in villa e non fa nulla”. Tenute in debito conto le imposte particolarmente gravose dell’epoca, il fatto di dichiararsi nullafacente era quasi sicuramente un espediente per occultare precedenti guadagni e pagare meno tasse di quanto avrebbe dovuto, e allo stesso scopo dovevano servire le dichiarazioni in base alle quali le abitazioni venivano descritte “in ruina” e la terra da coltivare “quasi soda”.

I ricordi dei suoi trascorsi internazionali, ricchi di esperienze e di conoscenze, furono sicuramente trasmessi al nipote, che venne cresciuto dai nonni, spalancandogli con ogni probabilità orizzonti indubbiamente non comuni per quei tempi e per quei luoghi, e non avranno certamente mancato di incuriosire un ragazzo già tanto pieno di stimoli e di interessi. A questo punto non appare difficile immaginare che derivi dalle rimembranze di Frosino, mutuate dai racconti del nonno Antonio, la storia sui corsari di Barberia che Leonardo narrò a Milano nel 1497, in occasione della visita del legato imperiale cardinal Matteo Lang al “Cenacolo” di Santa Maria delle Grazie, che è stata tramandata ai posteri dal novelliere Matteo Bandello. Frosino infatti, che tra le altre cose si occupava di trasportare la lana dalle Baleari e dalla Catalogna al porto di Pisa, era stato spesso costretto ad ingaggiare degli arcieri che difendessero le navi prese a nolo, oggetto di frequenti assalti e ruberie.

L’attività di ricerca intrapresa da Vezzosi quarantasei anni fa si è mossa in una duplice direzione, mediante una serie di indagini che partendo da Leonardo hanno proceduto da un lato all’indietro, nel tentativo di comprendere a fondo l’ambiente familiare e sociale che può aver contribuito allo sviluppo della genialità dell’artista, e dall’altro in avanti, nella speranza di riuscire a rintracciarne il codice genetico che a differenza di quanto si pensava non si è ancora estinto. Per la prima volta oltre che sui consanguinei di sesso maschile le ricerche sono state effettuate anche su quelli di sesso femminile, in passato sistematicamente ignorati nella ricostruzione dell’albero genealogico leonardiano, al fine di avere un quadro più completo ed esaustivo della complessa rete di legami familiari connessi con il genio di Vinci. (Barbara Prosperi)

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