Bottega Pecchioli a Poggio alla Malva

La lentezza del tempo che scorre

In un caldo pomeriggio di un venerdì di fine giugno salgo la strada piena di tornanti che mi porta alla piccola frazione di Poggio alla Malva, poco distante dalla vecchia stazione di Carmignano e dall’ex dinamitificio Nobel e da Artimino, alla ricerca di un po’ di fresco.

Quando scendo mi rendo conto, con non poco rammarico, che neanche a Poggio alla Malva riesco a trovare quel che sto cercando, e mi dirigo verso la piazza centrale del paese, Piazza Ariodante Naldi, dove si trova la bottega di alimentari Pecchioli.

Entro nel negozio e dietro il banco c’è il signor Giovanni, il proprietario, che sta servendo un cliente. In esposizione ci sono prodotti di vario genere, dagli ortaggi ai salumi e formaggi fino alla pasta e gli articoli per la casa.

Ad accogliermi è il figlio Paolo, che mi conduce attraverso un corridoio di casa sua per farmi scendere a visitare la cantina, cinque metri sotto terra, dove per prima cosa mi mostra la sua collezione di vini rossi, accumulati dalla famiglia nell’arco di tre generazioni a partire dagli anni Trenta. Le bottiglie provengono da Capezzana, Castelletti, Chianti Rufina, Malmantile e da Marcialla e Morocco. Poi, ci spostiamo nella prima stanza, dove Paolo custodisce i prodotti dei suoi vigneti ed oliveti, e quindi olio, IGT toscano bianco, rosato e rosso ed alcune varietà di miele, tra cui acacia, castagno, melata di bosco e millefiori. Su un tavolo bianco sono disposte quelle che chiama, con un certo orgoglio, le sue “tavolozze”, ovvero abbinamenti particolari e ricercati di formaggi. E poi c’è la “stanza della stagionatura”, dove da trecento anni si affinano formaggi e prosciutti, prodotti da aziende a gestione familiare. Proprio qui trovo quel che cerco per combattere la calura estiva; il fresco mi viene servito anche in un calice di vino rosato, quello dei vigneti di Paolo e il viaggio, dalle profondità della casa, diventa anche culinario e culturale, attraverso la storia della sua famiglia, le tradizioni e mille aneddoti. E’ lo stesso viaggio che ascoltano gli ospiti italiani e stranieri. Lo stesso che adesso racconterò anche a voi.

All’interno di questa bottega si ha l’impressione che il tempo si sia fermato: può raccontarci la storia di questo negozio e di come si è evoluto nel corso del tempo?
Quello che conosciamo deriva dai documenti che sono stati rinvenuti negli archivi storici del Comune di Lastra a Signa e che viene tramandato grazie ai racconti della mia famiglia.

Nel Settecento il borgo di Poggio alla Malva non era dove si trova adesso, ma era spostato in basso in prossimità del fiume Arno e faceva parte delle Signe, ovvero Signa, Lastra a Signa e Ponte.

All’epoca il negozio era un deposito di granaglie, carbone, candele, sale, olio e vino.

Alla fine del Settecento è diventato un negozio di alimentari, forno del pane ed anche rivendita di sali e tabacchi, mentre alla fine dell’Ottocento è stato pure sede delle Poste e del Telegrafo.

L’attività commerciale di vendita di generi alimentari e di prodotti tipici locali ha preso il via dopo la seconda guerra mondiale grazie alla volontà del babbo.

Lei ha seguito le orme del suo babbo gestendo l’attività commerciale della bottega: il passaggio del testimone è avvenuto senza soluzione di continuità?
No, il passaggio non è stato immediato: i miei studi universitari mi hanno portato lontano dal mio paese e dalla Toscana per circa dieci anni. Ho studiato antropologia culturale e, grazie ad un dottorato in Spagna, ho approfondito le relazioni tra il mondo europeo ed il mondo arabo, di cui ho visitato alcuni paesi, come ad esempio il Libano e l’Algeria. Poi, man mano che passavano gli anni ho iniziato a maturare l’idea di quanta ricchezza ci fosse nel mio paese ed in particolare in Toscana. Mi mancavano il negozio, gli olivi e le viti, mi sono accorto che non volevo abbandonarli ed è stato allora che ho deciso di tornare a casa.

Che cosa è cambiato nell’attività commerciale da quando lei è subentrato nella gestione della bottega insieme ai suoi genitori?
Da quando lavoro alla bottega, ovvero dal 2006, non è cambiato nulla a livello di vendita commerciale, dove il cliente locale continua ad assaggiare prima quello che poi effettivamente comprerà. Nella relazione col cliente l’assaggio è quindi una dimensione naturale e per questo motivo ho deciso di spostarla principalmente in cantina, dove dal 2007 ho dato il via ad un percorso di degustazione, isolato rispetto alla vendita, ma che inizia proprio dal negozio. Quando i clienti arrivano per degustare, devono prima di tutto passare da casa mia, conoscere i miei genitori perché è grazie a loro che tutto questo oggi è possibile.

Può raccontarci in cosa consiste il percorso che lei offre ai suoi ospiti in cantina e qual è l’idea che sta alla base della degustazione?
Alla base della degustazione c’è sicuramente la stimolazione delle cinque percezioni che avviene attraverso la lingua ed il palato, ovvero dolce e salato, amaro, croccante e cremoso. Una volta attivate queste percezioni si innesca un processo chimico per cui il cervello riconosce un cibo come ‘buono’. Il mio ospite, una volta sceso in cantina, inizia con l’assaggio delle ‘tavolozze’, ovvero quattro pecorini toscani (uno cremoso, uno mezzo stagionato, uno stagionato ‘forte’ ed un primo sale non ancora fermentato) in abbinamento, a seconda delle stagioni, a frutta fresca e secca, composta di frutta, zenzero, miele di castagno, tartufo, schiacciata con l’uva.

Dopodiché l’ospite passa nella ‘stanza della stagionatura’ dove assaggia i salumi, ovvero il prosciutto stagionato due anni sotto la cenere di quercia, la finocchiona, il salame toscano, la rigatina e la mortadella al pistacchio. Durante tutto il percorso l’ospite degusta tra i vini, anche quelli che provengono dai vigneti della mia famiglia che si trovano a Carmignano, a Malmantile e nel borgo della Luna tra Montelupo e Malmantile, ovvero IGT bianco (a base trebbiano), rosato (a base di bucce di canaiolo e succo di trebbiano), rosso (a base sangiovese, cabernet e canaiolo).

Il paniere di prodotti che viene proposto agli ospiti si chiama “Toscana profonda”: può spiegarci il perché di questo nome molto evocativo?
Credo intanto che in Toscana ci sia ancora un’alta cultura del cibo ed una forte identificazione, lo dico anche con un certo orgoglio, che passa dal piatto e dunque da quello che mangiamo.

La profondità richiama inoltre le radici e le tradizioni e la cantina stessa, dove avviene appunto il percorso degustativo è un luogo profondo, che nasconde storie e segreti. Pensi che questa cantina è stata, in tempo di guerra, un rifugio per i civili che si nascondevano dai bombardamenti. In occasione di uno di questi da parte degli Americani, subito dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, qui c’erano nove persone nascoste ed una di loro, per gli effetti dell’esplosione, perse un piede.

Inoltre, il cibo è sicuramente qualcosa di profondo, nel senso che ha bisogno di lentezza per essere percepito e compreso.

I suoi ospiti sono principalmente italiani oppure stranieri ed in quali periodi dell’anno si concentrano?L’utenza è equamente ripartita tra italiani e stranieri. Intorno alle feste di Natale c’è maggiore turismo italiano. Dico italiano perché i miei ospiti non sono tutti toscani, spesso provengono anche da altre regioni, come ad esempio il Veneto, la Liguria, la Lombardia e l’Emilia Romagna.

Gli stranieri sono principalmente americani, canadesi, europei e russi e si concentrano nel periodo da marzo ad aprile. Per loro il viaggio in Italia, in particolare per gli americani, viene vissuto come una ‘ricompensa’ dopo un successo personale o professionale e può durare anche per dei mesi.

C’è differenza, se c’è, nell’approccio alla degustazione tra gli italiani e gli stranieri?
Sì, c’è differenza e consiste nel dare una diversa considerazione ad un prodotto come la mortadella. Mi spiego meglio: gli italiani non si accontentano di degustare prodotti che già conoscono, anche se non sono propri della loro regione. Gli italiani hanno bisogno di degustare la mortadella, che reputano un prodotto poco prestigioso, in abbinamento al tartufo bianco. Ecco che un accostamento ricercato ed inaspettato genera in loro l’effetto sorpresa.

Gli stranieri invece apprezzano la grande varietà di prodotti proposti ed il tempo dedicato, che scorre lento e va contro i ritmi frenetici delle grandi città a cui sono abituati. Per alcuni di loro ad esempio il vino rappresenta addirittura un elemento esotico: i canadesi stentano a credere che sia fatto con l’uva!

Tra le recensioni scritte dai suoi ospiti ce n’è una che dice: “Un grazie enorme a Paolo per averci fatto sentire come a ‘casa’. Sì perché questa è l’atmosfera che si è creata nella sua ‘bottega’. Sembrava di essere a casa di amici tanto il tempo è passato veloce tra assaggi di squisiti prodotti”. Secondo lei perché la gente qui si sente come a casa?
Le persone trascorrono circa due ore in degustazione, quindi entrano come clienti ed escono come “amici”. Mangiano ed ascoltano aneddoti, che riguardano la storia della mia famiglia e della cantina, ed apprendono che le parole e le ricette si muovono come le persone. Un esempio su tutti è il prosciutto stagionato due anni sotto la cenere di quercia, una ricetta che proviene dal Protomagno casentinese, dove a fine Settecento andavano a lavorare i carbonai di questa zona, che oltre a fare il proprio mestiere imparavano anche uno stile di vita, dei modi di dire ed inevitabilmente delle abitudini gastronomiche.

Questo posto quindi vuole custodire, oltre alle storie ed alle tradizioni, anche i prodotti genuini?
Sono felice che si parli di genuino e non di locale. Sono contrario ai localismi applicati al cibo ed alla volontà estremista di voler identificare un prodotto con un territorio. Questo atteggiamento ha, secondo me, una connotazione discriminatoria. Perché le persone dicono ‘compro toscano’ anziché dire ‘compro buono’? La tipicità è come il campanilismo territoriale e finisce col generare un effetto escludente: le ricette appunto si muovono come le persone, noi siamo soltanto custodi temporanei dei nostri prodotti.

Per concludere, qual è l’aspetto che maggiormente apprezza durante le degustazioni?
Durante i miei viaggi all’estero sono sempre stato affascinato dal cibo, inteso come convivialità e come modo di stare a tavola. Tuttora durante le degustazioni resto sempre sorpreso quando mi trovo di fronte ad ospiti di diversa nazionalità che interagiscono tra di loro e presto attenzione alle loro differenze culturali. È ciò a cui non posso rinunciare e che ancora oggi continua ad emozionarmi. (Valentina Cirri)

 

Posted on

Questo articolo è stato pubblicato in enogastronomia, storie e racconti e con I tag , . permalink.
Translate »