“Kiev come Carmignano nel 1944”

La vita da sfollati, la fame, le bombe

Quelle coperte stese per terra in locali d’emergenza a Kiev mi rammentano l’agosto del 1944, quando nella cantina del sor Aurelio Petracchi (lo zio di Ferruccio Botti) passai quasi un mese vivendo in compagnia di gente disperata che si era lì rifugiata per sfuggire alle cannonate degli Alleati che causarono nel nostro Comune la morte di 28 persone.

Si accedeva a quel precario rifugio (divenuto oggi in parte un elegante negozio di parrucchiera) dalla bottega dell’Armida all’inizio di Via Roma. Nella buia cantina (illuminata solo da due finestrine) ai piedi delle botti stese per terra coperte e materassi formavano un letto esteso per tutta la lunghezza del locale (circa 40 metri) dove dormivano soltanto donne e bambini. Gli uomini si erano rifugiati nei boschi di Pietramarina per sfuggire ai rastrellamenti operati dai Tedeschi. La sera si accendevano le candele o i lumi a mano alimentati da petrolio. Da qualche giorno ci eravamo già rifugiati nella cantina, quando una cannonata colpì la nostra casa. Le schegge sforacchiarono un sacco di grano e distrussero un presepe cui ero molto affezionato. Mio babbo, che per caso si trovava in casa, fu solo leggermente ferito ad un braccio. La voce si diffuse nelle borgate vicine e si ingigantì. Qualche giorno dopo circolava la voce che Luigi era morto per una cannonata.

Avevo dieci anni e quella sistemazione di emergenza la vissi con una certa tranquillità, quasi un gioco, anche se vedevo i grandi oppressi dalla preoccupazione di procurare qualcosa da mettere sotto i denti.
Si saccheggiarono così vigne e alberi da frutto, ma non sempre i contadini accettarono quelle ruberie. Per fortuna quell’estate era stata generosa e le piante erano cariche di frutti.

Nella corte prospiciente la cantina ricordo che Giovanni di Marrano, provetto scalpellino, approntò un mulino manuale. Da due pezzi di pietra serena squadrati ricavò due macine rotonde sovrapposte. Cinse quella più in basso con un bordo di legno, ricavato da un grande stacco, dove aveva praticato un foro per far uscire la farina. Infisse nelle macina di sopra un ferro in modo da farla ruotare manualmente mentre veniva versato il grano in un foro praticato al centro della stessa macine. Un capolavoro. Chi aveva un sacchetto di grano ebbe modo macinare. Fu un gran sollievo, specialmente per i ragazzi, perché fino a quel momento era loro compito macinare il grano con i casalinghi macinini per il caffè, un oggetto oggi sconosciuto.

Vicino alla cantina c’era un pozzo. La mattina lavarsi il viso con quell’acqua fresca era veramente un piacere, ma l’acqua non era potabile e si doveva andare a prenderla alla sorgente sotterranea, che alimenta tutt’oggi l’acquedotto della Villa Medicea di Poggio a Caiano. Si accedeva alla sorgente attraversando l’aia di Cirico per giungere a quel casotto, che si vede nell’attuale posteggio al centro del paese. Non era quindi lontano dalla cantina rifugio, ma le cannonate, che fischiavano sopra la testa, incutevano paura. Si scendeva dunque una lunga scala e ai piedi di questa si allargava la pozza della sorgente e con un pentolino si prelevava per riempire fiaschi e bottiglie.

Proprio in quei giorni Maria Diana, una bambina di dodici anni, era stata sventrata da una di quelle cannonate mentre andava da Buccia a prendere il latte per la sua sorellina nata da poche settimane. Furono giorni di ansia. Dalle gretole della porta si vedevano passare i mezzi militari dei Tedeschi, i loro rumorosi sidecar e automezzi che trasportavano cannoni, ma anche mandrie di buoi dalle lunghe corna razziati in Maremma.

Quello che si vede ora in tv mi appare molto più drammatico dei miei ricordi infantili, perché qui a Carmignano non ci furono scontri diretti fra la forze in campo: Alleati e Tedeschi, ma solo a distanza con le artiglierie. Dai Condotti i Tedeschi sparavano per colpire gli Alleati che stazionavano al di là dell’Arno e gli Alleati rispondevano, ma le loro cannonate non raggiunsero mai le postazioni tedesche perché i loro cannoni erano piazzati a ridosso del monte di Artimino e i loro proiettili colpivano molto più in alto. Al contrario Comeana e Poggio a Caiano subirono ripetuti bombardamenti e mitragliamenti aerei.  (Lorenzo Petracchi)

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