I sedani alla pratese di Elena Matteucci

Dai ricordi di Lorenzo Petracchi

Nell’era del cibo surgelato, preconfezionato, pronto all’uso probabilmente sembra strano pensare di realizzare una pietanza che richiede trenta ore di preparazione, eppure almeno in passato le massaie impiegavano molto del loro tempo per dare vita ad un pranzo memorabile, come quello a cui Lorenzo Petracchi partecipava ogni anno per Natale grazie alle mani della zia Elena Matteucci, insuperabile nel cucinare i sedani alla pratese, ricetta tipica della zona che ormai conoscono e consumano in pochi. Nel suo ricordo (contenuto all’interno del libro “99 racconti delle colline medicee + 1”, pubblicato nel 2021 e in procinto di essere ristampato all’inizio dell’anno nuovo) oltre a proporre la ricetta dei sedani alla pratese Lorenzo rievoca con poesia un modo di onorare le feste che forse si è perso, ma che nella sua mente è ancora ben vivo e presente.

Barbara Prosperi

Bette Davis e Gloria Swanson, come Franco chiamava le sorelle Ada (mia mamma) ed Elena (sua mamma), erano solite per Natale riunire le loro famiglie intorno ad un’unica tavola. Una situazione che si protrasse per molti anni. A volte intervennero anche l’Egrina (che dette il nome alla famosa curva del Bagno) e suo marito Marino di Roma, nonni di Franco.

I pranzi al tempo si protraevano per molte ore: ci si metteva a tavola al tocco e ci si alzava verso le cinque. Il pranzo iniziava con i crostini di fegatini di pollo inzuppati nel vin santo e i tortellini in brodo, cui faceva seguito il cappone lesso. Erano veri capponi di cui ormai si sono perse le tracce. Operava la transizione da galletto a cappone Girdo, maestro nell’estrarre gli attributi al povero galletto. Con una lametta incideva il posteriore del pollo, estraeva, e con ago e filo ricuciva e il re del pollaio diventava l’eunuco del pollaio, ma in cucina con i galletti castrati da Girdo il successo era assicurato.

Il punto focale del desinare erano “i sedani con l’unto”, che venivano serviti come ultima portata insieme allo stracotto. Fare i sedani alla maniera della zia Elena richiedeva molte ore, l’elaborazione si articolava addirittura in due giorni.

Ora con i surgelati che si riscaldano in tre minuti nel forno a microonde può sembrare una pazzia, ma voglio descrivere il procedimento per invogliare qualche giovane ragazza a seguire questa “pazzia”, per ricercare gli antichi sapori di cui molti parlano senza sapere di cosa veramente parlano. E per dirla con D’Annunzio quei sedani erano migliori dei migliori sedani ripieni alla pratese1.

Il giorno prima della festa la zia preparava uno stracotto con abbondante e succulento sugo: questo è il segreto per la perfetta riuscita del piatto. Uno stracotto per essere sublime deve cuocere a fuoco lento oltre un’ora, e deve decantare e riposare per almeno un giorno nel tegame di cottura, possibilmente di coccio, un coccio però che abbia alle spalle una provata maturità in cucina. Non deve essere nuovo insomma.

Una perfetta cottura si può ottenere solo con una provata esperienza. Il taglio della carne, oltre un chilo di sorra o girello. Mentre lo stracotto bollicchiava pigramente, la zia Elena tagliava i sedani a tronchetti di circa dieci centimetri e li lessava facendo in modo che mantenessero la loro consistenza. Li distendeva poi su un asciughino e il giorno dopo, quando erano ben asciutti, li affogava in una pastella di farina e uova non troppo sciolta né troppo concentrata, dovendo questa formare intorno al sedano una sorta di aderente e consistente camicia.

Friggeva poi i tronchetti, che dovevano risultare completamente ricoperti senza che trasparisse il verde del sedano. La mattina successiva di buon’ora metteva i tronchetti fritti in una teglia e li copriva con il sugo dello stracotto, in modo che la pastella che copriva i sedani potesse assorbirlo lentamente. Non sguazzavano nel sugo, ma dal sugo erano fatti sapientemente saturare fino a divenire di un rosso sfumato tendente al giallo, senza gocciolare né olio né salsa.

Passava poi la teglia per una mezz’ora nel forno caldo… e il miracolo era compiuto. Un piatto che richiede a conti fatti oltre 30 ore. Quante ragazze sono attualmente disposte a questa maratona?

1. Negli anni ’40 le scatole di latta che contenevano i “digerini”, come chiamavano allora i biscotti Saiwa, portavano sul coperchio una scritta con la caratteristica grafia del grande Gabriele. “I biscotti Saiwa sono migliori dei migliori biscotti inglesi”. Il nazionalismo, allora imperante, imponeva che anche i biscotti italiani superassero in qualità quelli della “perfida Albione”. (Lorenzo Petracchi)

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