UNA LETTERA AL MERCANTE DI PRATO
Scriveva da Firenze Lapo Mazzei a Francesco Datini, l’8 dicembre 1396: “El vino cotto è comperato, buono e ottimo da Carmignano; perché i saggi da Coiano mi costavano lassù uno fiorino la soma; che ci ha più di XXI miglio; di che poi sentì già fa più e più anni non s’è fatto cotto a Carmignano, se none vanno. Honne auti i saggi, e paragonati …” Più la regione che produceva un vino era distante e lontana dalle città, più quel vino costava. Erano i trasporti infatti che facevano lievitare il prezzo nel Medioevo.

LA CANTINA DI FRANCESCO DATINI
” … In questo quadernuccio iscriveremo quanto vino imbotteremo, qui in Firenze quest’anno 1398, a dì 18 ottobre; e quanto per botte e in che botte e chome e da cchi l’aremo e di che luogo. Nella terza botte, da nuovo mancha nella volta nostra, à baril nove di vino vermiglio di due regioni, cioè: barili 6 del vino d’Andrea de’ Pazzi e barili 3 di quello venne da Prato di Stefamno da Filettore. Nella quarta botte, nell’uscio della volta, à barili dodici di vernacciuola avenmo da Charmignano, da Lionardo Mazzei. …”

QUANDO L’UVA CRESCEVA IN CITTA’
All’inizio del 1300, scrive Melis nella “Storia dei vini italiani nel Medioevo”, i vini venivano prodotti nei luoghi più vicini ai mercati di consumo perché il costo del trasporto era troppo elevato. Una delle innovazioni dei grandi mercanti fu quella che chiamiamo oggi “nolo differenziato”. Il costo del trasporto veniva proporzionato non solo alla distanza ma al valore della merce. Questa tariffa proporzionale ha permesso la nascita del grande mercato internazionale, anche per i vini e per l’olio. Alla fine del ‘300 non si acquistavano più vini, spesso scadenti, provenienti dalla zone talvolta pianeggianti e umide immediatamente vicine alle città, se non dentro le città stesse: il fatto che a Firenze ci siano due vie chiamate via della Vigna Vecchia e via della Vigna Nuova la dice lunga. Il vino per chi sapeva bere arrivava ora da Carmignano e da altre zone felici: si cercava la qualità dove la natura poteva darla.

I MEDICI E L’IDEA DIONISIACA: LORENZO A POGGIO A CAIANO
Nel 1490 la villa medicea di Poggio a Caiano non era ancora completata. Né lo sarà nel 1492, quando Lorenzo Il Magnifico morì. Ma lungo il torrente Ombrone, davanti all’isoletta Ambra di Poggio a Caiano, il granduca veniva oramai dal 1480: da quando aveva comprato una vecchia casa da caccia che poi diventerà la splendida villa. E dal 1483 Giuliano da San Gallo mise mano al progetto. Lorenzo ambiva a farne un capolavoro: una sintesi perfetta tra architettura ed ambiente, una fusione dai canoni vitruviani. Possiamo dunque immaginare il granduca, adagiato sui dolci declivi che degradano verso l’acqua, fissare le colline stracolme di viti ed inneggiare al carpe diem epicureo del tempo che fugge. Quant’è bella giovinezza/che si fugge tuttavia:/ chi vuol esser lieto, sia,/ di doman non c’è certezza./ Quest’è Bacco e Arianna,/ belli , e l’un dell’altro ardenti:/perché’l tempo fugge e inganna/ sempre insieme stan contenti (…) /Questi lieti satiretti,/ delle ninfe innamorati,/ per caverne e per boschetti/ han lor posto cento agguati;/or da Bacco riscaldati,/ ballon, salton tuttavia. Sono i versi della Canzona di Bacco e forse è proprio su queste colline che il Magnifico la compose nel 1490: lui che già nel Simposio, nel 1466, aveva cantato dei “beoni” del contado. Il vino, di cui il Montalbano era già rinomato, e l’idea dionisiaca era del resto un elemento centrale nel contesto dell’Umanesimo fiorentino. Bacco era il dio dell’ebbrezza e della frenesia, dell’abbandono alla gioia, ai piaceri ma anche all’estrema follia. Di doman, appunto, non c’è certezza: chi vuol esser lieto, lieto sia.

LA PITTURA SI FA CENSIMENTO: VITI DEL SEICENTO DEL BIMBI
L’uva che cresce sui filari non è sempre stata la stessa. Così come la tradizione è in fondo una lenta linea in movimento, anche i vitigni nei secoli sono cambiati. Alcuni si sono evoluti, certi sono stati “incrociati”, altri ancora si sono estinti o la loro coltura è stata abbandonata. Una fotografia perfetta, una sorta di censimento puntuale di quali vitigni fossero coltivati sul Montalbano e in Toscana nel Seicento ci viene da Bartolomeo Bimbi (1648-1729), pittore alla corte di Cosimo III de’Medici che per il granduca realizzò un vivo campionario di uve, frutta e fiori tra i più stravaganti, nostrali o forestieri, che si potessero trovare: Cosimo III li aveva diligentemente raccolti e poi aveva dato mandato al pittore di dipingerli, per fissarli nel tempo in eterno. Due di queste quadri, conservati dal 1990 nella villa medicea Ambra di Poggio a Caiano, ritraggono appunto 37 e 38 tipi di uve diverse: grappoli, diligentemente numerati, che cadono armoniosamente da una folta vite con una serie di cartigli, a mo’ di didascalia, nella parte inferiore del dipinto. Di queste opere ci sono anche copie di scuola fiorentina, conservate presso la biblioteca dell’istituto di botanica dell’Università di Firenze (per un elenco dei vitigni cfr. “Le uve de’ Medici” – Palazzo dei Vini, Prato 1992).

BACCO TRIONFANTE A CARMIGNANO
Nel suo viaggio vero o presunto su e giù per le colline della Toscana, nel Settecento, il poeta Anton Francesco Marmi si diverte a denigrare e far le pulci a numerosi vini illustri. Poi arriva a Carmignano ed incredibilmente ne canta le lodi: un singolare esempio di pubblicità comparativa, vecchia di qualche secolo. Ecco cosa scriveva nel suo “Bacco trionfante in Carmignano”:
” (…) Squallido al fine in Carmignano arrivo privo di speme e colmo di dolore, e trovo tutto il popolo giulivo, che mi riceve come il suo Signore, correndo tutto giubbilo e festivo ad offrirmi il dolce suo liquore venendo tutti ad incontrarmi a volo col vin di Monte Cucchi e Mont’Arbiolo Quindi mentre lo gusto e l’assaporo Sento glispirti miei crescere all’alma Non essendo aspro come gli altri foro, ma del dolce sapor porta la palma, tal che solo o Carmignano onoro, giach’in te solo il cuor prova la calma et in te sol per l’avvenir che sia voglio o Patria gentil la Regia mia. (…)”

A CARMIGNANO SI USAVA UNA TECNICA DIVERSA DAL CHIANTI
“(…)A Carmignano le uve si nettano al possibile da tutti i granelli acerbi e marci. Esse uve poste nel tino si pigiano due volte al giorno, fin tanto che seguitano a bollire forte, indi una volta al giorno si cava. Cavato il vino dal tino si mette subito nelle botti e gli si dà il governo, non col mosto, ma in granella, a differenza del Chianti. Con questo però, che tal governo sia stato prima appassito e stagionato al sole (…)”. Da Villifranchi, Oenologia Toscana, 1773.

IL VINO DEL CARTEI BATTE BORDEAUX E BORGOGNA
Nel suo soggiorno londinese Filippo Mazzei, girovago e diplomatico di Poggio a Caiano, era solito spesso pranzare e cenare con nobili e notabili di quella grande metropoli. Nella sue “Memorie della vita e delle peregrinazioni”, stampato nel 1756, ci racconta così di una cena a casa del signor Neave in cui furono portate in tavola (rigorosamente senza etichetta e senza dire prima da quale regione provenissero) una bottiglia di vino di Borgogna, una di Bordeaux ed una di “vin del Cartei, che era stato imbottigliato sei o sette anni prima”. I commensali bevvero e alla fine tutti diedero la preferenza a quel del Cartei. Poi, naturalmente, “restarono molto meravigliati quando intesero che era vin di Carmignano”. “Carmignano ?! Ma dove è mai ?” avranno esclamato. “Proprio ciò che tuttoggi ripetono in molti, all’estero ma anche in Italia, dopo esser rimasti affascinati dal nostro vino” commentano, sorridendo, alcuni produttori carmignanesi.

IL VINO DEI CREMONCINI
Sul colle da cui domina la rocca millenaria di Carmignano sorge ancora oggi una villa abitata nell’Ottocento dalla famiglia Cremoncini. Lì vissero Filippo ed il cavalier Eugenio (dal 1857 per cinque anni gonfaloniere del comune di Carmignano). E lì i due iniziarono fin dal 1825 una raccolta di vini così pregiati da meritare i primi premi all’Esposizione agraria toscana del 1857. Si narra che anche il re Vittorio Emanuele II si fosse recato di persona a visitare questa famosa collezione. Nel 1861 un vino della fattoria Cremoncini fu di nuovo premiato nel corso della prima esposizione italiana dell’industria e dell’artigianato, che con Firenze capitale si svolse proprio nel capoluogo toscano. Sull’etichetta si leggeva “Brillante Carmignano”, in omaggio probabilmente ai versi con cui nel Seicento il poeta Francesco Redi aveva lodato i vini di questi colli.

IN SVIZZERA NEL 1919 SI STUDIAVA CARMIGNANO
Dietro al vino e all’agricoltura carmignanese si nascondono anche storie di uomini e di luoghi. Paul Scheuermeier, etnologo svizzero, le ha raccolte dal 1919 al 1930 per l’Atlante Linguistico ed Etnografico dell’Italia e della Svizzera, ritenendo Carmignano peculiare per molti aspetti ma anche emblematica di tante realtà contadine in Italia. Potremmo quasi azzardare che in quel momento Carmignano era più famosa di Montalcino. Battute a parte, nel corso di questa sua ricerca sul vissuto quotidiano e la cultura contadina, i suoi costumi, i suoi utensili ed attrezzi (che lo portò a percorrere l’Italia centrale e settentrionale e a fermarsi per un po’ di tempo a Carmignano) Paul Scheuermeier scattò su queste colline 63 foto. Quelle che riguardano il ciclo di coltivazione della vite e di produzione del vino, riprodotte su grandi pannelli accanto ai disegni, anch’essi numerosi, del collaboratore Bosch, si trovano oggi nel “Museo della vite e del vino” a Carmignano.

IL BARCO REALE
Il Barco Reale è un vino. Ma è anche e soprattutto una delle più importanti “riserve naturali” volute dai Medici, istituito nel 1626 e “sbandito” nel 1772. Nel bando del granduca Cosimo III il Barco fu preso a riferimento per segnare i confini della produzione del Carmignano La riserva copriva gran parte del territorio dei comuni di Carmignano e di Poggio a Caiano, circondata e delimitata da un muro alto due metri e lungo 52 chilometri (30 miglia e più). A custodirla, attenti soprattutto agli aspetti venatori e al piacere del principe e signore (ma anche a quelli forestali ed agricoli), vi erano delle guardie: i birri. All’interno del Barco sorgeva il Barchetto della Pineta: riserva con accesso dalla porta, ancora conservata, di Poggio alla Malva.

INNOVATORI O TRADIZIONALISTI
Negli ultimi anni i produttori carmignanesi sono tornati a piantare i filari di vite alla distanza di un metro e 80 centimetri, come si usava ai tempi della mezzadria. Un ritorno all’antico: con più piante e meno grappoli, ma di migliore qualità. Negli ultimi decenni l’uso dei trattori aveva infatti costretto a distanze fino a 4 metri. Fin qui tutti paiono d’accordo. La sfida tra ‘innovatori’ e ‘tradizionalisti’ si consuma invece in cantina. C’è chi fa un uso più diffuso di barriques francesi, botti più piccole per l’invecchiamento che accentuano il fruttato dei vini e ne arrotondano il gusto, chi è ligio alla tradizione e chi infine cerca un giusto compromesso usando tutti e due i sistemi. Certo le barriques francesi vanno cambiate ogni due anni, spesso si cercano contemporaneamente anche rischiose vendemmie ritardate con maturazioni fenolitiche. E tutto ciò incide sui costi e poi sui prezzi. Non si tratta quindi solo di una diversa filosofia: servono anche una maggiore disponibilità finanziaria e maggiori investimenti.

(a cura di Walter Fortini)

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