Caravaggio ad Artimino

di Barbara Prosperi

Tra le tante opere esposte alla Galleria degli Uffizi di Firenze una delle più ammirate è senza dubbio il “Bacco” di Caravaggio, che il pittore bergamasco eseguì presumibilmente intorno agli anni 1596-97 nella città capitolina. La caratteristica principale per la quale il dipinto è tanto apprezzato risiede nell’eccezionale resa naturalistica che impronta la brocca piena di vino, la coppa ricolma impugnata dal dio, i pampini e i grappoli d’uva che ne incorniciano la testa e soprattutto il cesto di frutta presente nella parte bassa della composizione. Questo elemento lo accomuna alla celebre “Canestra” della Pinacoteca Ambrosiana di Milano, opera simbolo dell’artista, contemporanea o di poco precedente o successiva alla tela ospitata nel capoluogo toscano, e alla fruttiera che compare sulla mensa della “Cena in Emmaus” conservata alla National Gallery di Londra, datata invece 1601.

Il primo alloggio ad Artimino
Quello che forse molti non sanno è che lo straordinario dipinto di Caravaggio prima di arrivare agli Uffizi era alloggiato nella villa medicea di Artimino, conosciuta anche come “dai cento camini” a causa dei numerosissimi comignoli che ne punteggiano la sommità, o come “Ferdinanda” dal nome del granduca che la fece costruire. Ferdinando I de’ Medici era a tal punto innamorato del piccolo borgo etrusco, presso il quale effettuava frequenti battute di caccia, che decise appunto di edificarvi una residenza in cui sostare durante le ricorrenti escursioni venatorie.

Un edificio a regola d’arte
Progettata dallo scultore ed architetto fiorentino Bernardo Buontalenti, che le conferì l’aspetto di una fortezza solida e robusta, essa venne costruita nel tempo record di soli quattro anni, dal 1596 al 1600, e costituisce il capolavoro della fase matura dell’artista. I locali dell’edificio vennero impreziositi con gli affreschi di Domenico Passignano e Bernardino Poccetti, oltre che con le diciassette lunette realizzate da Giusto Utens, che riprodusse fedelmente tutte le ville di campagna appartenenti all’epoca alla dinastia medicea. Disperse e poi ritrovate nel corso del XX secolo, le quattordici pitture superstiti sono attualmente esposte a Villa Petraia a Firenze, sulla collina sopra Castello, e sostituite in loco da altrettante copie.

Dai Medici ai Riva
Nel 1737 la Ferdinanda passò ai Lorena, che ereditarono le fortune di casa Medici, e nel 1782 fu venduta al marchese Bartolomei; nel 1848 venne acquisita dai conti Passerini; infine nel 1911 fu ceduta alla famiglia Maraini. Nel 1944 l’edificio venne pesantemente danneggiato dai bombardamenti delle artiglierie militari, ma grazie ad un tempestivo restauro fu pienamente recuperato entro l’anno seguente. Dopo svariati passaggi di proprietà, nel 1979 la famiglia Riva effettuò una vendita all’incanto che causò la dispersione degli arredi e dei dipinti originari che erano rimasti all’interno della villa, depauperandola definitivamente dei pregevoli beni mobili che ancora la arricchivano.

La villa ai nostri giorni
Oggi la struttura ospita un centro congressuale ed alberghiero, che si estende ai locali della limitrofa Paggeria, mentre nel 1983 ha accolto nei suggestivi ambienti dei sotterranei il Museo Archeologico Comunale di Carmignano, ricco di interessanti reperti di epoca etrusca, spostato nel 2011 nelle vecchie tinaie di piazza San Carlo ed intitolato alla figura del soprintendente Francesco Nicosia. Nel giugno 2013 è stata dichiarata patrimonio dell’umanità ed è quindi entrata a far parte dei beni protetti dall’Unesco.

I tesori del guardaroba
Tra le preziose opere d’arte che un tempo ornavano il cosiddetto “guardaroba”, situato al piano nobile dell’edificio, figurava appunto il “Bacco” di Caravaggio. Esso fu inviato in dono insieme alla coeva, terrificante “Testa di Medusa” – ugualmente esposta agli Uffizi – dal cardinale Francesco Maria del Monte, ambasciatore del granduca di Toscana presso la Santa Sede, a Ferdinando I, forse in occasione delle nozze del suo primogenito, Cosimo II. Non è noto se la tela sia stata collocata fin dall’inizio nella villa o se vi sia giunta in un secondo momento dopo aver trovato alloggio a Roma (dove certamente fu eseguita) o a Firenze (dove sicuramente giunse in prima battuta), ma è certo che il soggetto agreste ben si addiceva ad una residenza di campagna, ubicata peraltro in un territorio rinomato per la produzione vinicola, sebbene il tema del dipinto sia stato oggetto di variegate interpretazioni.

Un mito pagano con un significato cristiano
L’ipotesi più affascinante è quella formulata da Maurizio Calvesi. Secondo lo storico dell’arte, uno dei più grandi esperti di Caravaggio a livello mondiale, la figura di Bacco – divinità pagana morta e risorta – va intesa in senso religioso come allegorica prefigurazione di Cristo e come chiara allusione al suo sacrificio salvifico, come sta ad indicare la coppa piena di vino – simbolo del sangue versato dal Redentore – che viene rivolta dal dio verso il riguardante, a suggerire che la Salvezza è alla portata di tutti.

Tale significato è perfettamente giustificato dal fatto che il committente, il già citato cardinal del Monte, era uomo di Chiesa, dotato di una profonda preparazione teologica e appassionato di mitologia classica, ma risulta in linea anche con la spiritualità e le conoscenze dell’artista, che a dispetto di un’indole turbolenta e perfino violenta era persona di grande fede e vasta cultura.

Da Firenze a Poggio a Firenze
Il quadro passò in epoca imprecisata nelle collezioni granducali degli Uffizi, dopodiché venne relegato nei depositi di via Lambertesca, dove Matteo Marangoni lo rinvenne nel 1913. Lo studioso nel 1916 lo esaminò attentamente e nel 1917 sulle pagine di “Rivista d’arte” (vol. X, pp.1-31) pubblicò un interessante articolo in cui lo presentò come copia del Caravaggio. Tuttavia riferì l’opinione del collega Roberto Longhi, che lo riteneva autografo. In quello stesso anno la tela fu ricollocata all’interno del museo. Dal 1940 al 1943 fu ospitata nella villa medicea di Poggio a Caiano, adibita a rifugio bellico per molte importanti opere d’arte, e dopo altri spostamenti nel 1951 rientrò definitivamente alla Galleria degli Uffizi.

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