Una medaglia (finalmente) per Corrado

Corrado Capecchi, soldato carabiniere deportato nei campi di lavoro nazisti dopo l’8 settembre, non c’è più da quattro anni e mezzo. Ma nei giorni scorsi, febbraio del 2012, una lettera è arrivata dalla presidenza del Consiglio dei ministri al figlio Alessandro. E’ la lettera che ufficialmente conferisce a Corrado una medaglia d’onore per il sacrificio e patimenti subiti. Una medaglia che simbolicamente colma il silenzio che per tanti (e troppi) anni ha circondato la storia di quei 600 mila soldati di un esercito italiano smarrito, fatti prigionieri all’indomani dell’armistizio dell’8 settembre 1943, diventati in un giorno da alleati nemici, ma che dissero “no” all’offerte dei fascisti della Repubblica di Salò.

La medaglia ancora non c’è. Sarà consegnata appena pronta. Ma è la lettera che conta.

Per anni, rotto il silenzio con cui per tanto tempo, come tanti altri deportati, aveva cercato di lenire il dolore di un anno e mezzo di angherie e crudeltà gratuite, considerato non più un uomo ma un pezzo, Corrado aveva lottato, a modo suo, contro le tante beffe subite dagli internati militari italiani: il lungo silenzio fino al 1977, gli spiccioli tedeschi annunciati nel 2000 ma riconosciuti solo ai civili deportati. “Combatto non per i soldi ma per un principio” ripeteva ogni volta.

Poi alla fine del 2006 il Parlamento italiano aveva annunciato, con una legge, la concessione almeno di una medaglia. Corrado si è spento (almeno) con questa consolazione. Ed ora la medaglia è stata ufficialmente e finalmente conferita.

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