Matteucci, vescovo 'dimenticato'

“Mi piace scrivere – confessa Daniela Nucci – ma soprattutto mi diverte cercare negli archivi e fare il topo di biblioteca”. E in effetti il libro che ha appena pubblicato è la biblioteca di tante biblioteche: una scelta accurata di scritti editi e inediti. Non una biografia il libro pubblicato dall’Attucci Editrice nel 2011. Ma racconta alla perfezione Benvenuto Matteucci.

Un parroco e uomo di Chiesa, scomparso nel 1993 ad 83 anni, che è stato intellettuale attento e commentatore del concilio Vaticano II, allora notato da Paolo VI. Il solo carmignanese che è diventato vescovo (e arcivescovo): nel 1968, a Pisa. Ma in pochissimi, stranamente, hanno scritto di lui. Non c’è neppure in paese una via a lui dedicata, che arriverà presto. “Ho trovato una bella tesi scritta dalla carmignanese Alessandra Piccioli. E poco altro” racconta Daniela, che dopo una militanza nei verdi, anche a Roma, e in attesa di qualche nipote, ha dedicato gli anni della pensione alla ricerca e alla scrittura. “Il prossimo libro – annuncia – sarà su Borgardo Buricchi”. Lo stesso Bogardo, seminarista e amico di don Matteucci, che fu tra i partigiani che fecero esplodere, morendo, il treno tedesco carico di esplosivi a Poggio alla Malva l’11 giugno 1944. Giovani che volevano la libertà, scriverà più tardi il vescovo, ma che non devono essere tirati per la giacchetta.

Il volume sul parroco – “Benvenuto Matteucci. Gli anni di Poggio alla Malva (1938-1961)” – è stato presentato in un’affollata serata a Carmignano a settembre del 2011. Un libro che va letto tutto d’un fiato, anche se sono quasi quattrocento pagine tra lettere e articoli, appunti nel diario della parrocchia e foto. Gli spunti sono tanti. Ma solo così si possono intuire i tormenti e il pensiero profondo di questo promettente prete di Carmignano, giovanissimo vicedirettore al seminario di Pistoia, spedito nel 1938, a ventotto anni, in punizione a Poggio alla Malva e lì costretto a restare fino al 1961.

I primi mesi furono duri. Si sentiva in esilio in quella “Russia del Valdarno”, dove la metà erano contadini e l’altra metà cavatori di pietra o operai di una fabbrica di esplosivi. Lui che pure era nato a Carmignano. “Non trovo anima con cui parlare” scrive. Poi torna a dedicarsi agli studi. Scrive articoli, partecipa a programmi sulla Bibbia alla radio e nella casa di Poggio alla Malva, per venti anni, si crea una vero cenacolo culturale: lo frequentano Piero Bargellini, lì negli anni della guerra con la famiglia, padre Balducci, Soffici, La Pira, Prezzolini e Ungaretti anche. Matteucci era un innovatore: nel 1941 scrive che sarebbe bello celebrare la messa in italiano. Ma era anche un ortodosso. E da buon toscano aveva anche un caratteraccio. Nel libro si racconta di una sfuriata epocale con don Balducci, di cui non condivise la strada imboccata.

“O Marx o Cristo” scriveva dopo il 1948. E a quella linea rimase fedele. In tanti non vengono più in chiesa e preferiscono comizi, si lamentava. Ma i comunisti, aggiungeva, sono comunque “generosi nelle offerte per le Quarantore e le feste”. Scene di un paese diviso, ma unito, già viste in “Don Camillo e Peppone”. (wf)

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