Gino Balena

Mauro Bellini e Giuliano Petracchi
Con quel nome che pare inventato Gino Balena potrebbe benissimo essere il personaggio di un libro e quarant’anni dopo nel rione bianco (e non solo nel rione bianco) ne parlano ancora come una leggenda. In fondo quel romagnolo di Cesenatico, allora professore di educazione artistica alle medie, oggi un po’ invecchiato e a cui il Comune ha deciso di dedicare una mostra a dicembre, cambiò il San Michele e il modo di portare i carri in piazza. Dando vita a quel ‘teatro in strada’ che è ancora la festa. Quattro sfilate di mezzora, – una per rione, diverse tra loro e diverse ogni anno – che si ripetono per tre sere e giudicate da quindici giudici.

Un condottiero rivoluzionario
Per i più giovani Gino Balena è solo un nome. Quel volto si materializza aprendo un vecchio album, custodito in un cassetto da chi nel 1970 aveva da poco smesso i pantaloni corti. In una grande foto dove si festeggia la prima sfilata mai conquistata dalla contrada della torre, quella del 1970 appunto,  Gino Balena se ne sta lì circondato dai suoi rionali: avvolto da una sciarpa bianca, i capelli crespi ed il viso incorniciato dalla barba. Un condottiero con il suo esercito, un condottiero che è tornato nella sua Cesenatico ma che qualche anno fa è tornato a vedere come è cambiato (se è cambiato) il San Michele. “Furono anni incredibili” ricordavano qualche anno fa Giuliano Petracchi e Mauro Bellini, allora giovani rionali: “La svinatura” (1969), “Gli Etruschi tra realtà e fantasia” (1970), “Le quattro stagioni” (1971), “Vergine, ma vergine davvero” (1972) “Carmignano è tuo: difendilo” (1973). Nei cinque anni di Gino Balena la contrada della Torre sconfisse i celesti, il rione più ‘acculturato’. Vinse tre volte, superata solo nel 1969 e nel 1971 dal rione giallo che da allora non ha più vinto. “Gino si fece contagiare dalla festa – dice Giuliano – ma quando lo avvicinammo nessuno si immaginava che avesse quell’estro e quelle capacità”. Ma anche la gente si fece contagiare. E non fu semplice, si racconta ancora, convincere famiglie e contadini con una morale all’antica a sfilare, nell’anno degli Etruschi, solo con un pezzo di stoffa tra le gambe.

Dieci quintali di scagliola
Gino insegnava disegno alle scuole medie, che allora erano in piazza Niccolini. Era arrivato dalla Romagna ed abitava al Brucio, vicino a Bacchereto. “Mi ricordo ancora la prima riunione – rievoca Mauro Bellini – Gli chiesero di cosa avesse bisogno per costruire i carri e lui rispose: tubi innocenti, compensato e dieci quintali di scagliola”. Fu una rivoluzione: fino ad allora si usava solo legno, stoffa e cartone. “Ci chiedemmo cosa mai ci avrebbe fatto con così tanta scagliola” prosegue Mauro. Lo si capisce guardando la foto del grande tempo etrusco della sfilata del 1970: un carro gigantesco, gesso e scagliola di fuori a modellare statue e colonne ed un cuore di legno e tubi innocenti all’interno.Una solida armatura con cui, in cinque anni, furono costruite case a due piani, mura di castelli e scorci di città. “Sempre rappresentate in modo estremamente realistico, con tegoli veri ed alberi veri” ricorda Giuliano. Uno stile che poi, negli anni successivi, contagiò anche gli altri rioni.

Carri con l’energia elettrica e trucco curato
Prima di Balena si sfilava anche con un solo carro per rione, dopo Balena con almeno quattro. Ma la rivoluzione non fu solo dei carri. Arrivò la musica ad accompagnare le sfilate e non era più solo quella di una banda o di un’orchestrina. Crebbero le luci, non più alimentate solo dalle batterie tolte in quei giorni alle poche auto che circolavano. Il trucco dei volti si fece più curato, i costumi mai improvvisati. “Non avevamo allora una grande sartoria rionale, ma lo spirito del San Michele contagiò numerosi colleghi di Gino Balena che iniziarono ad aiutarlo” ricorda sempre Giuliano. E cambiarono anche i temi portati in piazza, che si fecero più “sociali”: non più solo aneddoti e storielle del passato, ma spunti e riflessioni sull’attualità. Nel 1973, con “Carmignano è tuo: difendilo”i bianchi raccontarono il grande incendio che un mese prima aveva bruciato il Montalbano e le polemiche seguite ai soccorsi giunti in ritardo. Le sfilate si preparavano in appena un mese. Il 1972 toccò all’olio di oliva. Parlarono anche della Rocca, allora un castello privato che in molti si auguravano che potesse tornare a disposizione di tutti. Poi però arrivò la crisi energetica. “In tutta Italia si dovette tirare la cinghia – racconta Mauro – Anche le ripetute vittorie del bianco forse non aiutarono”. E così nel 1975 la Pro Loco, che allora organizzava la festa, dovette prendere atto che tra i carmignanesi non c’era più interesse per il San Michele. Una pausa lunga cinque anni, fino al ritorno nel 1980. (w.f.)

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