Antiche cave di pietraserena a Comeana

Un monumento alla memoria di tutti quelli che nel tempo hanno nobilitato con la loro fatica la dura e nobile arte del “lavorare la pietra”. Il monumento è il bassorilievo di Giuseppe Caselle, posto da qualche anno all’inizio di via Vittorio Veneto a Comeana; la pietra è quella serena delle vicine cave della Gonfolina, a ridosso dell’Arno ed oramai dismesse.

Un paese intero lavorava fino a pochi decenni fa in quelle cave. Nel 1811 erano 11, con 140 addetti: Comeana contava allora 1427 abitanti. Nel 1901 gli abitanti erano saliti a 1724 e gli operai a 164. Nel 1911 le cave attive erano addirittura 33, altre 30 operavano nel comune di Lastra a Signa sulla sponda opposta dell’Arno: 300 gli operai adulti impiegati, 50 i ragazzi sotto i quindici anni. Poi negli anni Sessanta è sopraggiunta la chiusura: con la manodopera assorbita dall’industria delle città e la scoperta di pietra “più morbida”.

Quella del “lavorare la pietra” è un’arte sicuramente antica a Carmignano: il segno dello scalpello, nelle tombe etrusche sparse sul territorio, è evidente. Il lavoro di estrazione vera e propria ha comunque assunto rilevanza solo a partire dalla metà del Settecento, anche se i primi documenti che citano le cave delle Gonfolina risalgono al 1124. E per l’estro e la capacità di esecuzione, confermata anche oggi dalle aziende sopravvissute, i manufatti delle cave di Comeana assunsero davvero grande rinomanza: prima vicino, a Firenze, Prato e Montecatini (dove erano molto apprezzati), poi all’estero dove alcuni scalpellini, in Svizzera e in Francia, si recarono a lavorare con successo. Scene oramai passate, come il ritmico e caratteristico picchiettio di mazzuoli da operoso alveare, i grandi barconi (prima dell’arrivo del treno) che scivolavano sull’Arno verso Livorno, le baracche che ancora oggi sopravvivono e che servivano da alloggio, mensa e luogo di lavoro durante le giornate di pioggia. Accanto a queste le piante di fico che gli operai piantavano per ripararsi dal sole. (wf)

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